L’immaginario che non c’è.
Sta cambiando inesorabilmente il botteghino in Italia: ma attenzione, non è il gusto del pubblico che cambia, ma il pubblico stesso, la sua composizione. Altrimenti non si spiegherebbe il fallimento dei tanti commedianti che negli anni precedenti hanno letteralmente intasato le sale, quasi colonizzando un immaginario, che invece oggi perdono la battaglia al box-office contro Wim Wenders o Hayao Miyazaki.
E il pubblico è cambiato in concomitanza con l’emergenza Covid: la scoperta delle piattaforme, probabilmente, ha fatto scoprire un tesoretto di film medi, mediocri o semplicemente brutti che però potessero fungere da passatempo per due ore (in fondo, lo stesso utilizzo che si faceva di tanti film in sala fino al 2020). Facendo capire allo stesso spettatore medio che uscire, andare al cinema e spendere 10 euro era più complicato e faticoso che restare a casa, stare sul divano e su una piattaforma spendere lo stesso prezzo, ma per un mese intero. La conseguenza inevitabile è stata che in sala, in questo scorcio di 2024, dimostrano di funzionare i film-evento, quelli dei grandi autori, le opere per cui non si può o non si vuole attendere l’uscita in piattaforma, quelle insostituibili con qualche altra cosa a caso.
Caso esemplare è quello di Leonardo Pieraccioni: reuccio della commedia mai volgare, ha sfondato diversi record alla fine degli Anni Novanta, continuando a navigare a vista negli anni Zero, deciso imperterrito a girare film senza un preciso progetto dietro, senza un’intenzione, senza un mondo di riferimento a fare da sfondo. Il risultato sono stati film sempre più dimenticabili, titoli interscambiabili come le interpreti femminili (da Il Paradiso All’Improvviso a Ti Amo in Tutte Le Lingue Del Mondo fino a Io & Marilyn), con incassi via via calanti. Dai 19 mln de La Moglie Bellissima ai 10 mln di Finalmente la Felicità, fino a 6 mln scarsi di Il Professor Cenerentolo: arrivando alla debacle assoluta di Il Sesso Degli Angeli, del 2022, che alla fine del percorso ha racimolato solo 1,50 mln.
Una caduta in verticale, inspiegabile non tanto per la qualità dei film quanto perché i prodotti del buon Leonardo sono sempre stati di grana grossa, con trame esili quanto un francobollo, sempre quindi in linea di una mediocrità che contraddiceva alla fine anche le origini, ovvero sbracando sempre più spesso nella volgarità del banale turpiloquio.
Come già il citato Sesso Degli Angeli, Pare Parecchio Parigi arrivava in sala promettendo un Pieraccioni diverso, maggiormente concentrato sulla trama e su un seppur minimo sviluppo narrativo (manco a pensarci quello dei caratteri in scena): ma il fallimento è stato duplice e ancora più cocente, perché ora rispetto a dieci anni fa si sente chiaramente lo sforzo del regista di poter mettere insieme qualcosa che possa attrarre lo spettatore.
A fronte di un incasso magro (anche rapportato ai tempi) di soli 3 mln di euro, Pare Parecchio Parigi riprende una storia vera tentando la strada della commedia familiare e malinconica: è poi uno sconclusionato on the road, che invece a dispetto dei risultati aveva un’idea di fondo potenzialmente non priva di spunti di interesse – anche se la trama corre, e avrebbe fatto lo stesso anche con qualche variazione, troppo vicina al parallelo ma ben più alto Al Lupo! Al Lupo!, piccolo gioiello di Verdone.
Peccato che pensando a I Laureati del 1995 niente sembra cambiato per Pieraccioni a livello di stilemi visivi: un cinema insomma stanco, usurato nelle sue giunture, quasi sclerotico nell’immobilità espressiva dei caratteri che mette in scena, visto che sembra mancare il benché minimo interesse allo sviluppo della trama che si ferma in pratica all’inizio, nella triangolazione tra Nino Frassica-Chiara Francini-Giulia Bevilacqua con il regista stesso a fungere da capocomico (!).
Un numero spropositato di gag e battute che strappano un sorriso ma niente più, una regia che si affossa in un immaginario che semplicemente non c’è.
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