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RAMAN RAGHAV 2.0

RAMAN RAGHAV 2.0

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Anime gemelle e complementari.

Negli anni ’60 operava a Mumbai un assassino seriale, Raman Raghav, che si proclamò autore di 41 delitti e fu condannato a morte (condanna poi tramutata in prigione a vita per incapacità di intendere e di volere). Questo film non parla di lui.
Si apre con questo cartello, subito prima dei titoli di testa, Raman Raghav 2.0, l’ultima fatica di Anurag Kashyap, autore di punta del nuovo cinema indiano. Presentato a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs, dove il cineasta si era fatto conoscere nel 2012 col fluviale e monumentale Gangs of Wasseypur (epopea familiare e insieme romanzo criminale che racchiude mezzo secolo di storia indiana), il film è stato mostrato in anteprima italiana al 34° Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile.
Ramanna, un folle serial killer che vive a Mumbai, trae ispirazione dalle gesta di Raman Raghav, il noto assassino seriale che nell’India degli anni ’60 si macchiò di decine e decine di omicidi. A dargli la caccia è Raghavan, un giovane ispettore di polizia tossico e violento, che dopo averlo scambiato per un semplice mitomane lo ha rimesso in libertà consentendogli di proseguire il suo macabro e oscuro operato. I due sono destinati a incrociare nuovamente il loro cammino in una Mumbai dove il bene e il male si mescolano e si confondono fino a fondersi insieme senza distinzioni di sorta.
Diviso in otto capitoli, sceneggiato a quattro mani dallo stesso Anurag Kashyap insieme a Vasan Bala, Raman Raghav 2.0 possiede una messa in scena sovraccarica e barocca ed una tecnica mirabolante già esibita e sfoggiata dall’autore nei suoi lavori precedenti. A non essere mai ostentata invece è la violenza, che è sempre fuori campo, in favore di un ritmo elevato e di una tensione costante, talvolta quasi insostenibile come nella disturbante e angosciante scena ambientata nella casa della sorella del serial killer, dove viene smorzata solo dal sopraggiungere della musica – in perfetto Bollywood style – che arriva in soccorso dello spettatore (insieme a un ralenti col protagonista che si muove per i corridoi e le scale del condominio).
Il cuore pulsante del film è da ricercarsi nel rapporto che a poco a poco si viene a sviluppare tra l’omicida seriale, che compie le sue macabre gesta in nome di un piano lucido e imperscrutabile come se fosse spinto e guidato da un’entità superiore, e il poliziotto che dovrebbe dargli la caccia. Quest’ultimo, costantemente strafatto di metanfetamine e cocaina e dai metodi non proprio ortodossi, impegnato in una relazione con la giovane e bella Simmy che non perde occasione di maltrattare e umiliare, non è poi così diverso dall’uomo che deve catturare. I due più che rivali e antagonisti sembrano essere due facce della stessa medaglia, affini per indole e vocazione. In una Mumbai laida, marcia e oscura, dove le principali istituzioni sono incapaci di tutelare e salvaguardare i cittadini, specie se appartenenti alle classi più povere e disagiate, il confine tra bene e male è talmente labile e sottile da essere quasi indistinguibile. Nel corso della visione infatti non si parteggia per nessuno, è esclusa ogni possibile identificazione. I toni sono quasi sempre cupi e minacciosi in questo avvincente thriller metropolitano (sebbene a volte si faccia ricorso all’ironia per alleggerire e stemperare la tensione), girato con incredibile maestria e abilità registica, che emerge con forza nelle numerose sequenze ambientate nei vicoli angusti e labirintici dei sobborghi di Mumbai.
Nel conferire un’andatura adrenalinica e irrefrenabile, giocano un ruolo importante le musiche composte da Ram Sampath, un tappeto di suoni elettronici martellanti e incessanti, e il montaggio preciso e dinamico di Aarti Bajaj, che aveva già collaborato con Kashyap in Black Friday e Ugly (passato al TFF nel 2013). Da sottolineare l’incredibile performance di Nawazuddin Siddiqui, uno degli interpreti più bravi e poliedrici del cinema indiano, già visto e apprezzato in Gangs of Wasseypur e in Lunchbox (uno dei pochi titoli indiani distribuiti in Italia negli ultimi anni) qui impegnato in un vero e proprio tour de force recitativo nei panni di Ramanna.
Anurag Kashyap conferma ancora una volta di avere un talento fuori dal comune e di possedere un’estetica personale e inconfondibile, messa a servizio di un film di genere che non rinuncia a denunciare il livello di miseria, degrado e corruzione che ammorba e opprime la società indiana.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.