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RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA

RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA

After the storm foto4

La quotidianità dei sentimenti.

Nei giorni conclusivi della settantesima edizione del festival di Cannes è arrivato sui nostri schermi After the Storm di Hirokazu Kore-eda, presentato un anno fa sulla Croisette nella sezione Un Certain Regard. Il titolo italiano Ritratto di famiglia con tempesta è tutt’altro che felice, ma alla fine è solo un dettaglio trascurabile di fronte all’ostinazione e al coraggio della Tucker Film, che continua a credere e a investire nella distribuzione di film orientali nonostante il crescente e preoccupante disinteresse del pubblico italiano, sempre più svogliato e poco interessato alla visione sul grande schermo non solo di titoli di nicchia provenienti dal Paese del Sol Levante, ma anche nei confronti dei blockbuster americani.
Nell’ultimo film Kore-eda, uno dei maestri del cinema giapponese contemporaneo, prosegue il suo discorso incentrato sul confronto generazionale e sui difficili rapporti all’interno del nucleo familiare. Ryôta lavora per un’agenzia investigativa privata, si occupa perlopiù di casi d’infedeltà coniugale o di ritrovamenti di animali domestici smarriti. Oltre ad essere afflitto da problemi economici (dovuti alla sua dipendenza dal gioco) e da una costante insoddisfazione professionale per una carriera da scrittore finita ancor prima d’iniziare, deve gestire un rapporto tribolato con l’ex moglie e col figlio che vede una volta al mese e a cui non versa gli alimenti da tempo. Ryôta ha dei legami di sangue instabili e complicati anche con l’anziana madre e con la sorella, che vede di rado e malvolentieri.
È interessante notare come Kore-eda nei suoi film non lasci mai prevalere la disperazione o il senso di sconfitta, cercando sempre qualcosa di positivo a cui aggrapparsi per poter ripartire, voltando pagina dopo aver acquisito una consapevolezza dolorosa, ma necessaria per lasciarsi alle spalle i rimpianti per una vita che avrebbe potuto andare in una direzione piuttosto che in un’altra. Il cineasta nipponico ha ormai acquisito una tale maturità e un tale equilibrio da consentirgli una semplicità e un’immediatezza di scrittura e narrazione davvero uniche e peculiari. La sua innata capacità nell’immergere lo spettatore nelle storie che racconta e che vuole comunicare è a dir poco sbalorditiva. Attraverso dialoghi continui, momenti d’intimità, ricordi e una malinconia che affiora e che aleggia costantemente, Kore-eda ci restituisce il ritratto agrodolce di un uomo mai cresciuto fino in fondo, con un rapporto irrisolto e conflittuale col padre ormai deceduto. La figura della madre anziana, interpretata in modo sublime da Kirin Kiki (presenza fissa e constante nella filmografia di Hirokazu Kore-eda nonché indimenticabile protagonista del film di Naomi Kawase Le ricette della signora Toku), donna simpatica, buffa e dolce che s’illumina con l’arrivo del nipote che vede raramente, è delineata in modo magistrale dall’autore giapponese, che dimostra ancora una volta una delicatezza e una sensibilità di sguardo oggi sempre più rare e preziose. La seconda parte, ambientata quasi per intero nell’appartamento della madre del protagonista, è il fulcro narrativo e il cuore pulsante del film. La tempesta in arrivo, che costringe l’ex moglie di Ryôta a passare la notte a casa della suocera, sarà il motivo e il pretesto per una riunificazione familiare forzata e di breve durata, ma tenera e struggente. È qui che Kore-eda riesce a far confrontare e interagire tre diverse generazioni – bambini, adulti e anziani – in modo autentico e naturale, riuscendo a carpirne e catturarne i brevi attimi di pace e serenità.
Accompagnato dalle note minimaliste e soffuse del musicista giapponese Hanaregumi, Ritratto di famiglia con tempesta, contraddistinto da momenti di grande ironia e leggerezza, è un ulteriore, prezioso tassello della poetica di un autore che mette da sempre in primo piano l’importanza dei sentimenti e dei legami familiari: e lo fa con una tale grazia e compostezza da renderlo un unicum nel panorama cinematografico internazionale.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.