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SANTIAGO, ITALIA

SANTIAGO, ITALIA

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Come eravamo, come siamo diventati.

Dall’inizio del nuovo millennio la data dell’11 settembre rappresenta in automatico, per la stragrande maggioranza delle persone, il triste anniversario di quanto accaduto nel 2001 a New York, con la caduta delle Torri Gemelle e la morte di migliaia di persone innocenti. Non tutti ricordano che quasi trent’anni prima, esattamente nel 1973, in quella stessa data era avvenuta la morte del presidente Salvador Allende e la fine della democrazia in Cile. In questo suo viaggio tra Italia e Cile, Nanni Moretti ripercorre, attraverso le testimonianze dei protagonisti di quel drammatico periodo, la storia politica e sociale dei due paesi fino ai giorni nostri. Allende era stato eletto democraticamente nel 1970 alla guida del suo paese. “Un Cile innamorato di Allende e di ciò che stava succedendo. Era fantastico, era giusto, era bello. In campagna, in città, nelle case, c’era un’allegria che non avevo mai visto prima” come ricorda Patricio Guzmán, regista cileno che nei suoi lavori ha affrontato e ripercorso più volte il dramma e le ferite del suo popolo. Moretti parte da qui, dai tre anni del governo Allende in cui sembrava possibile costruire un altro tipo di mondo, dar vita a un’altra società. Il golpe militare guidato dal generale Pinochet e sostenuto dagli Stati Uniti, di colpo, pone fine a tutto ciò, scaraventando un intero paese in un incubo senza fine. Il regista italiano si vede e sente poco nel corso del film, la scena e le parole sono giustamente lasciate ai protagonisti di quei terribili anni, alle vittime incarcerate e torturate, ai dissidenti politici, ai giornalisti e anche ad alcuni tra i responsabili dell’orrore, ex-militari (uno dei quali tuttora a piede libero) che si professano innocenti, se non addirittura ignari di quanto avvenuto all’epoca. A uno di loro, che si lamenta nel corso dell’intervista per la mancanza di obiettività del suo interlocutore, Moretti risponde prontamente e senza indugio di non essere imparziale. Del resto non lo è mai stato, è sempre stato schierato, di parte, rivendicando con forza e intelligenza la propria appartenenza politica. Autore di un cinema battagliero e militante, ferocemente critico in più d’una occasione nei confronti della sinistra, figuriamoci verso ideologie destrorse, razziste, intolleranti e violente. Nel mostrarci – attraverso preziosi filmati d’epoca, foto e testimonianze dirette – gli orrori del colpo di stato, Santiago, Italia si sofferma nella seconda parte sul ruolo fondamentale svolto dalla nostra ambasciata, pronta a accogliere, salvare e proteggere centinaia di vite umane. Cittadini cileni terrorizzati che trovarono un rifugio e successivamente un visto per l’Italia, dove ottennero un lavoro e una casa, in poche parole una seconda patria. Una pagina ingiustamente poco nota della recente storia italiana, di cui bisognerebbe andare fieri e orgogliosi (l’Italia fu uno dei pochi paesi, insieme alla Svezia, a non riconoscere il nuovo Governo guidato da Pinochet). “Per me il Cile è stato un patrigno cattivo, l’Italia una madre generosa e solidale”, afferma Victoria Sáez, una esule cilena. Poco a poco, nel corso delle sue interviste, Moretti ci pone davanti al drammatico e inumano imbarbarimento della nostra società, facendoci riflettere e pensare su cosa e come eravamo – solidali, generosi, partecipi, UMANI – e su cosa siamo diventati e in che modo ci siamo trasformati nel corso di questi 45 anni. Un altro esule ricorda: “Quando lavoravo a Modena ogni tanto andavo con la mia bicicletta e c’erano persone che mi dicevano: ehi, ciao, sei cileno? Cosa sta succedendo nel tuo paese, hai qualche notizia nuova? E soprattutto la grande domanda, cosa possiamo fare? Cosa posso fare per salvare quelle persone dalla barbarie di Pinochet?”. E un altro ancora dichiara: “Sono arrivato come esule in un paese nuovo, che aveva fatto la lotta partigiana e aveva difeso lo statuto dei lavoratori. Un Paese molto simile a quello che sognava Allende in quel momento lì. Oggi viaggio per l’Italia e vedo che assomiglia sempre più alle cose peggiori del Cile. Una società improntata a un consumismo terribile, dove non te ne frega niente della persona che sta di fianco a te, se la puoi calpestare la calpesti. Questa è la corsa all’individualismo”.

Santiago, Italia, film di chiusura della trentaseiesima edizione del Torino Film Festival in uscita al cinema il 6 dicembre, è un lavoro accorato e necessario, a tratti commovente, rispettoso delle ferite ancora aperte del popolo cileno. Un’opera che guarda a una delle pagine più nere e dolorose del recente passato e che al contempo volge uno sguardo critico e dolente sul presente, su una società rancorosa e incupita, dominata dall’odio, insensibile, anestetizzata e indifferente ai drammi altrui. Una secca e dura presa di coscienza di come ci siamo “evoluti” e modificati nel corso di questi decenni, un atto di accusa verso noi stessi e la nostra mancanza di cuore, empatia e coscienza sociale.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.