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Siccità foto4

La Roma post apocalittica di Virzì, tra catastrofe ambientale e sociale.

A Roma non piove da tre anni, al posto del Tevere c’è una landa deserta e desolata. La poca acqua in arrivo da altre regioni d’Italia viene razionata, suscitando nella popolazione rabbia, proteste e malcontento. In questo scenario seguiamo le storie di alcune persone, molto diverse per età, provenienza ed estrazione sociale, destinate a intrecciarsi e andare in collisione tra loro.

Dopo due prove opache e incolori Paolo Virzì ritrova finalmente l’ispirazione perduta realizzando un film corale che guarda alla nostra contemporaneità. Stavolta il regista livornese, uno dei pochi in grado di rileggere e di rielaborare al meglio la tradizione della commedia all’italiana, abbraccia un genere poco frequentato dal cinema italiano, il post apocalittico.

L’uscita quattro anni fa di Notti magiche, il punto più basso della sua filmografia, aveva confermato una preoccupante fase involutiva nel cinema di Virzì che aveva avuto inizio l’anno prima con Ella e John – The Leisure Seeker. Con Siccità il regista livornese, autore del soggetto insieme a Paolo Giordano a cui in fase di sceneggiatura si sono aggiunti Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, si dimostra nuovamente un ottimo direttore d’interpreti (tra i migliori del nostro cinema) e un abile osservatore della nostra società e dei suoi mutamenti che hanno subito una drastica e traumatica accelerazione col sopraggiungere della pandemia. Infatti, oltre a porre l’attenzione sull’emergenza causata dai cambiamenti climatici – uscendo tra l’altro al termine di una delle stagioni estive più torride e meno piovose di sempre – Siccità presenta molteplici riferimenti e accostamenti al Covid-19, il virus che ha modificato (per sempre?) il nostro vivere quotidiano e il nostro modo di rapportarci con gli altri. Virzì, che ha girato durante la pandemia dovendo pure sospendere le riprese dopo essersi contagiato, non lo nomina in modo diretto ma riempie la narrazione di richiami e allusioni. Al posto del Covid abbiamo un’altra epidemia che inizia a diffondersi nella popolazione a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie e di una massiccia invasione di blatte, al posto dei virologi divenuti delle star della TV durante la pandemia abbiamo uno scienziato esperto in cambiamenti climatici, dapprima serio e integerrimo, che arriva a Roma dal Veneto per poi subire il fascino dei media e del jet set capitolino, diventando frivolo e vanesio.

Virzì descrive una Roma sporca e caotica, guasta e malsana, in preda allo smarrimento e all’odio dei suoi abitanti, in vana attesa di una pioggia che sembra solo un ricordo lontano e sbiadito. Una città dove l’amore e la solidarietà si sono perse per strada, sostituite da narcisismo, egoismo, solitudine e violenza. Il film dell’autore livornese sembra essere il frutto di una lunga e attenta osservazione della nostra contemporaneità, in cui le poche certezze e sicurezze acquisite fino a pochi anni fa hanno lasciato spazio all’ansia e alle paure per un presente incerto e precario e per un futuro ancora più tetro e angosciante.

La scrittura di Virzì e dei suoi sodali è abbastanza ambiziosa nel citare e richiamare alla mente film corali diretti da grandi autori americani come Robert Altman (America Oggi) e Paul Thomas Anderson (Magnolia). Non tutte le storie hanno lo stesso respiro e la stessa tenuta, alcuni personaggi sono descritti e portati avanti meglio di altri ma è una pecca da poco per un film che nell’arco di un paio d’ore decide di mettere tanta carne al fuoco, riuscendo a suscitare riflessioni importanti, a emozionare e a provocare in più d’una occasione qualche sana risata di alleggerimento in un contesto drammatico e apocalittico che si va stemperando solo sul finale, dove emerge un piccolo barlume di speranza.

Le anteprime del 22 settembre, ultimo giorno di Cinema in Festa col prezzo del biglietto ridotto a 3,50 euro, hanno registrato in molti casi un incoraggiante sold out, un dato che fa ben sperare in vista dell’uscita nazionale fissata per il 29 settembre. Segno evidente e inequivocabile di come Paolo Virzì, col suo cinema popolare e la forza del suo umanesimo, rimanga tuttora – nonostante qualche passo falso – uno dei registi più amati e seguiti dal pubblico italiano. Storie, generi e contesti diversi dal solito come quelli presenti in Siccità sono fondamentali per il nostro cinema, che ha un disperato bisogno di rinnovarsi e di ampliare i propri orizzonti per ritrovare e riportare gli spettatori in sala prima che sia troppo tardi.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.