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SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN

SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN

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Da Marte con furore.

Durante una missione esplorativa su Marte, l’astronauta Mark Watney (Matt Damon) viene dato per morto dal resto dell’equipaggio in seguito ad una feroce tempesta di sabbia. In realtà Mark, benché gravemente ferito, è ancora vivo, e si ritrova da solo sul pianeta rosso, mentre i suoi compagni sono in viaggio verso casa, e la NASA e il mondo intero lo credono deceduto. Ma come sopravvivere su un pianeta ostile e deserto con a disposizione viveri per appena qualche mese, sapendo che la successiva missione non avverrà prima di altri quattro anni?

Dal romanzo di Andy Weir (pubblicato indipendentemente e trasformatosi in un successo incredibile), un kolossal fantascientifico che sembra trasportare la lezione di Cast Away (e in parte di All Is Lost) nello spazio. Qui però non vi è nessuna riflessione filosofica (e malinconica) sull’ineluttabilità dello scorrere del tempo, sulla solitudine, o sulla capacità di ritrovare sé stessi abbandonando i superflui lussi capitalisti. No, quello di Ridley Scott (e dello sceneggiatore Drew Goddard, in questo caso Autore di pari importanza al regista nell’impostazione e riuscita della pellicola), dietro la confezione da blockbuster mainstream, è un film che trasla il mito della conquista del territorio e dell’esplorazione pionieristica dell’ignoto, appartenente al genere western (rievocato visivamente nella rappresentazione delle infinite distese del pianeta rosso), all’interno di un meccanismo fantascientifico. Matt Damon, non a caso il Jimmy Stewart dei nostri tempi, l’everyday man, un cowboy senza macchia, affabile e bamboccione, ma, più significativamente, intelligentissimo e determinato, è la personificazione della volontà umana (diciamo pure americana) alla sopravvivenza e all’adempimento del proprio obiettivo. A muoverlo non è tanto il desiderio di rivedere i propri cari, di cui non si fa praticamente mai menzione, tanto meno l’amore di una persona lontana, ma l’istinto primario di sopravvivenza, l’imprinting culturale che gli vieta di gettare la spugna e lasciarsi andare ad una morte sicura. The Martian è innanzitutto un’appassionato elogio dell’intelligenza umana, della volontà di resistere con i propri mezzi e il proprio sapere. Poco importa se alcuni hanno bacchettato il regista di aver girato un costoso spot per la NASA, non è questo il punto. Sopravvissuto non è l’ennesima parentesi impersonale all’interno del corpus di opere di un regista troppo spesso giudicato mercenario. Nel cinema del regista inglese l’Uomo è sempre stato da solo, senza un Dio o una qualche entità superiore a fargli da guida nel caos dell’esistenza. Che si tratti dello spacciatore nero di American Gangster, della vendetta personale del Gladiatore, dell’astronauta Ripley, del Cristoforo Colombo di 1492 – La conquista del paradiso, e, nonostante quello che può sembrare, anche del Mosè di Exodus, i personaggi dei film di Ridley Scott si creano da soli la propria fortuna, sono i padroni e fautori del proprio destino, e ripongono fiducia e speranze solo in sé stessi. Watney-Damon è l’emblema del personaggio Scottiano, novello Robinson Crusoe, appena più tracotante, che con la sua sola intelligenza è in grado di garantirsi la sopravvivenza e il ritorno a casa. Watney non invoca mai l’aiuto di Dio, non sembra un personaggio religioso, anzi, piega i simboli della religione al sincretismo della scienza, arrivando a bruciare il legno dei crocefissi per procurarsi il fuoco.

Dall’altro lato dello spettro, lo sceneggiatore Goddard lavora con abilità su materiali abusati, spezzando la tensione con tocchi di volontaria comicità e giocando di fino con divagazioni al di fuori del genere di riferimento e tocchi metacinematografici (come il lancio della modulo-decappottabile nel finale, che non può non ricordare un’altra indimenticabile conclusione di un film di Ridley Scott, Thelma & Louise) che rievocando il cinema del passato sembrano dirci qualcosa di nuovo su quello presente e su come certi meccanismi narrativi siano semplicemente non rinnovabili. All’interno di questa riproposizione di meccanismi noti (la lotta per vivere, i tentativi di comunicare con la Terra, la missione di recupero), Goddard si diverte ad innestare sottili variazioni di tono, citazioni nerd (Sean Bean che spiega agli altri protagonisti cos’è il Concilio di Elrond da Il signore degli anelli, Matt Damon che per lanciarsi nello spazio usa la pressione nel suo guanto “come farebbe Iron Man”), brani vintage in colonna sonora utilizzati in maniera ironica e straniante (soprattutto disco music, da Hot Stuff di Donna Summer, che accompagna il viaggio sul MAV del protagonista scaldato da un motore nucleare, I Will Survive di Gloria Gaynor, ABBA, The O’Jays, fino a Starman di David Bowie in una sequenza di collaborazione collettiva da applausi) i quali concorrono a definire un’inedita e appagante dimensione del racconto cinematografico. Tutto ciò, beninteso, all’interno di una confezione spettacolare che toglie il fiato per oltre centoquaranta minuti, impreziosita da un cast di contorno ricchissimo e affiatato, su cui svetta l’enorme Jeff Daniels. Chapeau.

voto_5

Alex Poltronieri
Nasce a Ferrara, vive a Ferrara (e molto probabilmente morirà a Ferrara). Si laurea al Dams di Bologna in "Storia e critica del cinema" nel 2011. Folgorato in giovane età da decine di orripilanti film horror, inizia poi ad appassionarsi anche al cinema "serio", ritenendosi oggi un buon conoscitore del cinema americano classico e moderno. Tra i suoi miti, in ordine sparso: Sydney Pollack, John Cassavetes, François Truffaut, Clint Eastwood, Michael Mann, Fritz Lang, Sam Raimi, Peter Bogdanovich, Billy Wilder, Akira Kurosawa, Dino Risi, Howard Hawks e tanti altri. Oltre a “Il Bel Cinema” collabora con la webzine "Ondacinema" e con le riviste "Cin&media" e "Orfeo Magazine". Nel 2009 si classifica terzo al concorso "Alberto Farassino - Scrivere di cinema".