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SOUL

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Valorizzare ogni aspetto della vita.

Il ventitreesimo lungometraggio della Pixar, scritto e diretto da Pete Docter insieme a Kemp Powers, è il primo ad avere come protagonista un afroamericano. È la prima volta che un titolo della Pixar esce direttamente su Disney+ senza il passaggio in sala a causa della pandemia da Covid-19, fortunatamente senza costi aggiuntivi per gli abbonati, al contrario di quanto accaduto a inizio settembre con la versione live action di Mulan, che aveva costretto gli utenti della piattaforma a sborsare ben 21,99 euro per poterlo vedere.

Joe Gardner, insegnante di musica in una scuola media, sogna di diventare un pianista professionista per suonare nei migliori locali jazz di New York. Quando il sogno di una vita sembra avverarsi, Joe ha però un incidente e la sua anima finisce in un luogo strano mentre il suo corpo si trova in un letto d’ospedale. Per evitare di morire, Joe tenta disperatamente ma invano di tornare sulla Terra, fino a quando incontra una giovane anima ribelle con cui stringe un patto.

Il nuovo lavoro di Pete Docter, uno dei maggiori autori della Pixar già artefice di film sublimi come Monsters &  Co., Up e Inside Out, ci insegna ad apprezzare le piccole cose, a valorizzare ogni aspetto della vita senza dare niente per scontato. In Soul si sottolinea che la nostra esistenza non è contraddistinta solo da passioni brucianti e da obiettivi da raggiungere. I due personaggi principali imparano l’uno dall’altro tramite il classico e consolidato schema di crescita e arricchimento scaturito dal loro incontro casuale e fortuito. La piccola e irrequieta anima ribelle, che non voleva saperne di scendere sulla Terra e vivere, scopre che l’esistenza va considerata nella sua straordinaria quotidianità, come un pezzo di pizza gustoso e saporito. Joe comprende che la vita è fatta anche di piccole cose e va vissuta giorno per giorno, non solo in funzione di uno scopo da raggiungere e di un sogno da inseguire. Emblematica, in tal senso, la bella scena ambientata dal barbiere, non prevista inizialmente nella sceneggiatura e aggiunta in corso d’opera da Kemp Powers. Ascoltando il barbiere, Joe – costretto a essere spettatore muto, o meglio miagolante perché intrappolato nel corpo e nei peli di un simpatico gatto paffuto – capisce che a volte le persone possono essere felici e realizzate anche se non hanno potuto compiere il percorso che avrebbero voluto per deviare su un’altra strada e intraprendere un’altra professione. In un mondo egoista e egocentrico qual è il nostro, Docter e Powers ci dicono che è giusto valorizzare quel che abbiamo e che possiamo gioire e provare grandi emozioni anche per piccole cose che talvolta neanche notiamo perché siamo abituati a darle per scontate. È un messaggio quasi rivoluzionario, come lo era in Inside Out riconoscere la fondamentale importanza di sentimenti come la tristezza e la malinconia nel processo di crescita di ogni individuo, per una società come la nostra in cui spopolano social media e talent show che ipocritamente spacciano alla portata di tutti la fama e i sogni da raggiungere. A dimostrazione che quando vuole la Pixar, pur inglobata e “controllata” dal colosso Disney che tende a normalizzarla e banalizzarla, riesce ancora a graffiare e uscire dagli schemi, a offrire modelli e percorsi alternativi, lontani e al di fuori da quelli finti, posticci e stereotipati che affossano da tempo la creatività della multinazionale americana, divenuta da tempo la leader mondiale incontrastata nel settore dell’intrattenimento.

Soul è denso e stratificato come i migliori titoli di casa Pixar. Probabilmente non rientra in questa ristretta categoria perché non riesce a raggiungere le vette – altissime – scalate dalla Pixar in film come Monsters & Co., Wall-E, Toy Story 3 e Inside Out e non commuove o emoziona come avremmo voluto e sperato, però i messaggi contenuti al suo interno sono forti e potenti, in controtendenza con quelli presi a modello dal mondo occidentale. Soul è in grado di arrivare a tutti, il pubblico di ogni età può cogliervi aspetti e messaggi differenti: i più piccoli si divertiranno a seguire un’avventura piena di ritmo e situazioni brillanti mentre i grandi avranno modo di riflettere e meditare durante e dopo la visione.

Ottime e ispirate le musiche composte dall’affiatato duo formato da Trent Reznor e Atticus Ross, già autori di splendide colonne sonore per David Fincher e per la serie tv Watchmen, qui alla loro prima composizione per un film d’animazione. Buono il doppiaggio italiano, con Neri Marcorè e Paola Cortellesi a dar voce ai due protagonisti che nella versione originale sono interpretati da Jamie Foxx e Tina Fey. Menzione speciale per Terry, personaggio buffo e irresistibile che ritroviamo anche al termine dei titoli di coda, un omaggio sincero e palese a La Linea del nostro Osvaldo Cavandoli.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.