Il terzo, attesissimo film di Spidey sotto l’egida Marvel.
I piani criminali di Mysterio hanno dato i loro frutti: tutti sanno che Peter Parker è SpiderMan, e la vita del giovane eroe viene stravolta. Non gli resta che rivolgersi al Doctor Strange, amico membro degli Avengers, per tentare di risolvere il problema: peccato che così si precipiterà in un vortice di problemi molto più difficili da risolvere.
Parte da un presupposto molto semplice No Way Home, il terzo film del terzo franchise di uno dei supereroi più iconici e celebri del Marvel Universe: confermati Jon Watts alla regia e Tom Holland sotto la maschera, i Marvel Studios procedono indisturbati nella loro marcia trionfale di colonizzazione e rimasterizzazione del moderno immaginario collettivo cinematografico.
Bloccando fin da subito i deboli detrattori, ai film dei Marvel Studios non si può rimproverare che “non inventano nessun tipo di immagine”, perché è un’iperbole ingiusta e in malafede. Il cinema non nasce come creazione di immagine ma come riproduzione: la differenza è sottile e difficile da individuare, ma sta di fatto che No Way Home, al pari di Eternals o Endgame, non crea ma attualizza e declina un immaginario già esistente (solo) sulla carta, inserendo elementi di una cultura pop che oggi solo tramite l’MCU sta lentamente venendo riconosciuta e sdoganata. Il riciclo è poi atto differente, e se ne può parlare per operazioni di marketing come Me Contro Te o altri lavori simili che semplicemente ripropongono: è invece incontestabile che i film della Marvel raccolgono in primis un canone letterario (quello proveniente dalla Marvel Comics, casa editrice benemerita che da 60 anni reindirizza i moti politici e sociali ad uso e consumo di un pubblico mainstream), e poi subito dopo le suggestioni che corrono sottocutanee tra le vecchie e le nuove generazioni.
Ne consegue automaticamente che No Way Home è certo un prodotto per famiglie, ma nel senso più ampio e giustificato del termine: la storia di Spider-Man contro il Multiverso contiene amore e morte, follia e disperazione, speranza e risate (anche se meno delle altre volte), niente viene edulcorato, ma tutto è servito in confezione extrapatinata.
Difetti ce ne sono anche, perchè Jon Watts non ha forse la grandeur propria dei fratelli Russo e il film stesso non è esente da qualche problema di miscasting. Ma alla fine, questo terzo Spider-Man riepiloga e fa il punto – proprio come Endgame - di anni e anni di costruzioni narrative perfette: quale altra opera può permettersi di dire di aver fatto lo stesso, senza sbavature o concessioni all’easy telling? Due ore e mezzo senza respiro dove ogni elemento sta al suo posto, si rispetta ogni regola di drammaturgia e ogni personaggio ha la giusta esposizione.
E se il regista non controlla tutto, ci pensa la storia a regalare qualche brividino, ci pensano i personaggi e la loro perdita dell’innocenza, ci pensano i grandi poteri che portano grandi responsabilità. In più, cosa fondamentale, si conferma la volontà e la capacità soprattutto dei Marvel Studios di voler vedere e voler produrre un cinema che è ancora un rito collettivo.
Che spinge all’applauso in sala. Che porta a prenotare il biglietto per il primo giorno. Che coinvolge ogni fascia d’età suggerendo percorsi narrativi personalizzabili, che non lascia niente al caso, che sa frenare e aizzare il fanmade più spinto senza nessuna furbizia, anzi indirizzandolo proprio dove vuole l’opera (il trailer del film di Watts era – a posteriori – fuorviante e fuori trama, sintomo che i creativi sanno bene dove vogliono andare a parare e fanno di tutto perché il pubblico acclami ogni loro mossa).
Deve essere un segnale forte che, in tempi di pandemia, il primo giorno di proiezione il film ha totalizzato quasi tre milioni di euro: sintomo che esiste ancora un pubblico che accorre al cinema. E che sa e vuole emozionarsi solo con un film.
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