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STAR WARS: EPISODIO VII – IL RISVEGLIO DELLA FORZA

STAR WARS: EPISODIO VII – IL RISVEGLIO DELLA FORZA

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Il risveglio del mito.

Non è facile scrivere qualcosa del film più atteso dell’anno, forse del decennio. Probabilmente non è nemmeno “utile”. Cosa possono aggiungere queste righe a quanto già detto in precedenza? Che differenza potrebbe fare questa “recensione”, o meglio tutte le recensioni di questo mondo, nel grande gioco degli incassi e dei record al botteghino? Star Wars è un fenomeno che trascende la critica, trascende la materia filmica stessa (verrebbe da chiedersi quanti introiti arriveranno dal film in sala e quanti dal merchandising che ha investito ogni ambito del viver comune), per divenire substrato culturale. Qualcosa che ormai fa parte di noi e del nostro essere, imprescindibile, nonostante tutto e tutti. E’ per questo che nonostante una trilogia di prequel più recente (a giudizio dei fan ortodossi estremamente deludente) il pubblico si riversa ancora nelle sale in massa. Per assistere all’”evento”, alla rinascita della saga più popolare di sempre, per credere ancora una volta nella Forza (c’è chi ha ironizzato sul fatto che Star Wars più che un film sia una religione, ma mica si è allontanato troppo dalla verità). Della vendita della Lucasfilm alla Disney, dei progetti di una nuova trilogia (e altrettanti spin off) ormai saprete tutto, e non è questo ad interessarci o di cui vogliamo parlare. Basti sapere che se i primi tre film di Guerre Stellari hanno praticamente creato ex novo il concetto di blockbuster nell’era contemporanea (applicato al marketing, elemento da sempre primario nella creazione del mito SW), la trilogia successiva (ma cronologicamente precedente) per quanto intrisa di macchinosità narrative, humour fuori tono, attori mal diretti eccetera eccetera., ha ricodificato, sperimentando sulla sua stessa pelle, il concetto di messa in scena nel cinema americano dei 2000. Come sempre nel bene e nel male. La rivoluzione digitale che stiamo vivendo è iniziata con Episodio I – La minaccia fantasma (film la cui importanza va ben oltre i modesti risultati artistici) proseguendo e affinandosi nei due capitoli successivi (meglio calibrati anche dal punto di vista della sceneggiatura e dei sottotesti politici) e investendo oggi ogni ambito della settima arte e non solo. Senza dilungarsi in inutili liste di pellicole, basti pensare a come Robert Zemeckis (per primo dopo Lucas) ha portato avanti la teorizzazione sulla scomparsa-futilità del corpo umano, e del divo, nel nuovo cinema digitale. Tornando al presente, la baracca Star Wars è passata nelle mani della Disney, e dalle loro in quelle di J.J. Abrams a cui pesava il gravoso compito di rivitalizzare una saga che pareva non poter aggiungere nulla alla propria leggenda. Abrams regista, produttore, factotum, molto più Autore e consapevole di tanti altri colleghi, già responsabile del geniale restyling della saga di Star Trek, era quindi il nome più indicato per traghettare il mito di Star Wars verso le nuove generazioni senza scontentare i milioni di fan della prima ora. Da qui la scelta, astutissima, di riportare in scena tutti i protagonisti della trilogia originale (Mark Hamill, Harrison Ford, Carrie Fisher…) affiancandoli ad altri più giovani che ne raccoglieranno il testimone. Ma se il George Lucas degli anni ’70 guardava al passato e alle proprie ossessioni (il western, la fantascienza di serie b, il cinema d’avventura), Abrams oggi non può che rivolgersi al suo di passato, rappresentato dai film originali di Star Wars con cui è cresciuto. Di conseguenza fa tabula rasa della trilogia digital-politica di prequel, e fa tornare la saga stellare alle origini. Non solo riportando in scena il cast di vecchietti (la cui funzione, va precisato, si spinge più in la del richiamo nostalgico o della strizzatina d’occhio), ma “fingendo” di ripudiare le armi tecnologiche di cui può servirsi. Il risveglio della Forza, perciò, è un film che trasuda molta più umanità e artigianalità rispetto ai film che lo hanno anticipato. Gran parte delle location sono reali, le scenografie sono ricostruite dal vero, le comparse non sono create in CGI, le battaglie sono meno faraoniche. Il plot stesso, per quanto nascosto in maniera diabolica a pubblico e media sino all’uscita del film in sala, non presenta la ricchezza e le sfaccettature dei prequel di Lucas ed è all’opposto semplice e diretto come quello del Guerre Stellari del 1977. Ai limiti del remake. O, visto che di Abrams stiamo parlando, reboot. Un droide, con al suo interno un messaggio segreto, è in fuga su un pianeta deserto. I cattivi gli danno la caccia. Il droide è aiutato da una ragazza del luogo che possiede poteri di cui non è a ancora a conoscenza. Segue una rocambolesca fuga e l’incontro con la “resistenza” (un tempo Ribellione). Messa così è esattamente la linea narrativa di Episodio IV – Una nuova speranza. Abrams, che in fase di sceneggiatura non a caso si è fatto aiutare da un veterano come Lawrence Kasdan, questo lo sa bene. Così come sa che un nuovo fenomeno Star Wars non è più possibile e concepibile, non è possibile un nuovo Capolavoro, non è possibile una nuova Rivoluzione. E replica una formula collaudata, la svecchia nei limiti del consentito (è chiaro che con Star Trek ha avuto mano più libera), la impreziosisce con qualche pennellata personale, “limitandosi” a ricalcare il Mito, a rinverdirne le sorti. Implicitamente o meno però, nonostante il tono spensierato e avventuroso della pellicola, ci pare affiori un discorso tutt’altro che banale sulla ciclicità del Male e sulle sue rappresentazioni. Trent’anni sono passati dagli eventi de Il ritorno dello Jedi, tuttavia nulla è cambiato nella galassia, e a poco pare essere servita la sconfitta del malvagio Impero, così come la redenzione in extremis di Darth Vader. All’Impero si è sostituito l’altrettanto minaccioso e nazistoide Primo Ordine – in una paurosa similitudine col presente, dove alla presunta sconfitta di Al Qaeda sopraggiunge l’arrivo dei terroristi dell’Isis – gli eroi sono scomparsi, in fuga da loro stessi o distrutti nei rapporti interpersonali (l’unione tra Han e Leia), la Forza è solo un vago ricordo, una leggenda da tramandare ai bambini, e i giovani protagonisti sono orfani o abbandonati, in cerca di un loro posto nel mondo o di un punto di riferimento a cui appigliarsi. Ci sarebbe tanto altro da dire sulla pellicola di Abrams, sulle aspettative che ci si era costruiti, su quello che potremo vedere nei capitoli successivi, sul suo impatto nella nostra società e cultura. Ci limiteremo a dire che i fan non saranno delusi, che Abrams sa calibrare con precisione scientifica umorismo, azione e ritmo, che un paio di colpi di scena vi faranno perdere il sonno. L’importante è non aspettarsi sconvolgimenti epocali. Il mito era già tra noi da tempo, andava solo “risvegliato”. E in questo senso J.J. Abrams ha realizzato l’unico film di Star Wars possibile oggi.

voto_4

Alex Poltronieri
Nasce a Ferrara, vive a Ferrara (e molto probabilmente morirà a Ferrara). Si laurea al Dams di Bologna in "Storia e critica del cinema" nel 2011. Folgorato in giovane età da decine di orripilanti film horror, inizia poi ad appassionarsi anche al cinema "serio", ritenendosi oggi un buon conoscitore del cinema americano classico e moderno. Tra i suoi miti, in ordine sparso: Sydney Pollack, John Cassavetes, François Truffaut, Clint Eastwood, Michael Mann, Fritz Lang, Sam Raimi, Peter Bogdanovich, Billy Wilder, Akira Kurosawa, Dino Risi, Howard Hawks e tanti altri. Oltre a “Il Bel Cinema” collabora con la webzine "Ondacinema" e con le riviste "Cin&media" e "Orfeo Magazine". Nel 2009 si classifica terzo al concorso "Alberto Farassino - Scrivere di cinema".