Ritorno a Hawkins.
A quindici mesi di distanza dalla prima stagione di Stranger Things, divenuto uno dei prodotti seriali più amati e venerati degli ultimi anni, i fratelli Matt e Ross Duffer ci riportano nuovamente nella cittadina di Hawkins, sulle tracce di Will, Mike, Dustin e Lucas. Siamo nel 1984, Halloween ormai incombe e i quattro ragazzini si preparano a festeggiarlo vestiti da ghostbusters, è passato quasi un anno dagli incredibili avvenimenti che hanno stravolto le loro vite e che hanno segnato la scomparsa di Undici, sparita nel nulla dopo aver sconfitto il Demogorgone, la terrificante creatura emersa dal Sottosopra. Quando tutto sembra essere tornato alla normalità, si fa strada da quell’oscuro e inquietante mondo capovolto una nuova minaccia, un gigantesco e orribile mostro d’ombra è pronto a infettare e inghiottire la tranquilla e pacifica (si fa per dire) cittadina con i suoi abitanti.
Dopo l’incredibile successo della prima annata, era scontato e inevitabile che i gemelli Duffer, nati nel 1984, cresciuti e formatisi con l’intramontabile e immarcescibile immaginario di quel decennio, dessero un seguito alla serie tv prodotta e realizzata da Netflix nel 2016. Più che di una seconda stagione si tratta di un vero e proprio sequel, con l’aumento esponenziale dei personaggi e il conseguente proliferare di trame e sottotrame. Cresce il budget a disposizione, si moltiplicano gli effetti speciali, aumentano perfino gli episodi passando dagli otto della prima stagione ai nove della seconda. Oltre a riprendere generi (sci-fi, horror, teen-movie), temi e atmosfere della prima annata, una sincera e riuscita operazione nostalgia in omaggio agli Eighties, gli orizzonti si ampliano verso il cinecomic, con Undici impegnata in un doloroso e sofferto percorso alla scoperta delle proprie origini, in cerca di legami e affetti familiari che le sono stati preclusi da sempre. Privata della propria infanzia dal cinico e malvagio dottor Brenner, impersonato da Matthew Modine, che l’ha resa una cavia da laboratorio per servirsi dei suoi poteri extrasensoriali, la ragazzina riemersa dal Sottosopra cerca di trovare un suo posto nel mondo e per farlo ha bisogno di trovare risposte ai tanti interrogativi che l’affliggono. Un personaggio sofferto, complesso e sfaccettato, tra i più amati della prima stagione e che presenta diverse assonanze con Wolverine degli X-Men, una delle figure più affascinanti e importanti del fumetto americano.
Nell’ideare queste prime due stagioni (a cui ne seguiranno una terza e una quarta), concepite come due film fiume suddivisi in capitoli, i Duffer si sono accostati al decennio in cui sono ambientate con un’attenzione minuziosa e maniacale per ogni singolo dettaglio e hanno messo in campo un rigore filologico che lascia stupefatti, a partire dal font usato per i titoli di testa, senza dimenticare il riuscito inserimento nel cast di volti familiari di quel periodo come Winona Ryder, Matthew Modine e Sean Astin, o di caratteristi come Paul Reiser. Quest’ultimo era tra gli interpreti di Aliens di James Cameron, il sequel del primo capitolo realizzato da Ridley Scott. Ebbene, tra i titoli di Scott e Cameron esistono differenze sostanziali, che non a caso si ritrovano nelle due stagioni di Stranger Things, con i mostri che nella seconda annata si moltiplicano a dismisura rispetto al solo Demogorgone visto nella prima, esattamente come accadeva nel passaggio dal primo Alien al secondo, in cui le creature aliene erano ovunque. L’idea di sequel dei Duffer proviene proprio da lì e da Terminator 2, altro titolo diretto da Cameron. (1) (2)
Il successo e la piena riuscita di Stranger Things non vanno imputati solo all’effetto vintage, ma anche e soprattutto ad un sapiente e ispirato lavoro in fase di scrittura. Gli autori, contrariamente a quanto sostengono i detrattori della serie, non si limitano a un semplice gioco citazionistico, non sono interessati a uno sterile e furbo ricalco delle tante pellicole degli anni ’80 da loro menzionate e omaggiate. Uno dei punti di forza che ha reso Stranger Things una serie di culto istantanea è dato dalla mentalità e dall’approccio alla componente narrativa dei fratelli Duffer, capaci di rielaborare e recuperare quello spirito ingenuo e quell’innocenza di sguardo caratteristici di tanti titoli appartenenti a quel decennio, da I Goonies a Stand by me, da E.T. a Ghostbusters (3). I due giovani autori danno vita a una storia imbevuta di elementi soprannaturali e fantastici che poggia le sue solide fondamenta nei legami affettivi, nell’amicizia che compatta, rafforza e unisce un gruppo di ragazzi, dando loro la forza e il coraggio di compiere azioni straordinarie e di trionfare sull’oscurità. Detta così sembrerebbe quasi la trama di It, con i ragazzi di Hawkins al posto del Club dei Perdenti di Derry. È incredibile l’abissale differenza che separa la malriuscita trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Stephen King – che sta spopolando in queste settimane nelle nostre sale – dalla bella serie dei Duffer Brothers, che tra le tante cose sembra anche un riuscito e ispirato adattamento/collage di diverse storie e racconti del maestro del brivido. Elementi semplici e genuini uniti a una visione d’insieme lucida e attenta ai vari aspetti tecnici, artistici e produttivi. Si pensi all’efficace uso delle musiche elettroniche, alla perfetta composizione del cast e alla magistrale caratterizzazione di ogni singolo personaggio, ingredienti quasi del tutto assenti nel nuovo It. La seconda stagione di Stranger Things, che ha spinto molti a divorarla in un paio di giorni con un binge watching forsennato e frenetico, pare dunque destinata a replicare le fortune della prima annata e a lasciare migliaia di fan in fremente attesa di una terza. Chi scrive preferisce tenersi alla larga dalle accese discussioni su quale sia la stagione migliore, se la prima o la seconda, tirando un sospiro di sollievo nel pensare alle trappole e ai pericoli schivati abilmente dagli autori nel portare a casa un sequel capace di non sfigurare rispetto all’originale. Si arriva al termine degli ultimi due – clamorosi – episodi (4) col cuore gonfio di gioia e con gli occhi lucidi, sulle note di Time After Time e Every Breath You Take, ad accompagnare un ballo d’inverno scolastico che si vorrebbe non finisse mai.
(1) In un’intervista rilasciata a Entertainment Weekly Matt Duffer ha dichiarato quanto segue: “Quando abbiamo iniziato ad idearlo come sequel, Netflix ha detto: ‘Non fatelo. I sequel sono noti per essere brutti.’ E io ho risposto: ‘Sì, e come la mettiamo con Terminator 2, Aliens – Scontro Finale, Toy Story 2 e Il Padrino 2?’ Vogliamo che il pubblico discuta su quale stagione sia migliore. Voglio un dibattito come quelli su Toy Story.”
(2) Di sequel si parla anche in alcune scene di Scream 2 (Wes Craven, 1997). In particolar modo nella discussione in classe tra studenti di cinema che si confrontano su diversi sequel, come appunto Aliens, Terminator 2, Il padrino – Parte II, a detta dei più quasi sempre inferiori rispetto al primo capitolo.
(3) Le citazioni non finiscono certo qui, sono disseminate lungo l’intera serie e comprendono titoli come Gremlins, Fenomeni paranormali incontrollabili, L’esorcista, Under the Skin, Bella in rosa, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, La Cosa, Il labirinto del fauno e molti altri ancora.
(4) Diretti dai Duffer come i primi due, mentre gli altri cinque capitoli sono firmati da Shawn Levy (executive producer della serie, già dietro la macchina da presa in due episodi della prima stagione), Rebecca Thomas e Andrew Stanton, uno dei grandi registi di casa Pixar autore di Finding Nemo e Wall-E.
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