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Into the dark.

Nella quarta stagione di Stranger Things, probabilmente la penultima di una delle serie più popolari e amate degli ultimi anni, i fratelli Duffer hanno l’ardire di alzare  ulteriormente l’asticella e di conseguenza le aspettative del pubblico. Già dalle modalità con cui è stata realizzata, ovvero l’incredibile lunghezza degli episodi  che hanno il loro culmine nel nono (150 minuti per un totale di 13 ore, il doppio della prima stagione), e distribuita da Netflix sulla propria piattaforma, con i primi sette capitoli rilasciati a fine maggio e gli ultimi due a inizio luglio, s’intuisce l’ambizione dei Duffer e la volontà del colosso streaming nel voler stupire in tutti i modi e a tutti i costi gli spettatori.

Operazione che può dirsi in buona parte riuscita, nonostante l’effetto boomerang di un minutaggio talmente imponente che finisce in più d’una occasione per diluire in modo eccessivo la narrazione, con uno schema fisso e ripetitivo di episodio in episodio (i vari espedienti di sceneggiatura per arrivare ai numerosissimi dialoghi che coinvolgono due personaggi) che talvolta rischia di stancare il pubblico e appesantire la visione a causa di qualche ridondanza di troppo. All’inizio si fatica un po’ a farsi coinvolgere dalle nuove avventure dei ragazzi e delle ragazze di Hawkins e dei loro genitori, anche a causa dei tre anni trascorsi dal rilascio della terza stagione, uscita su Netflix a inizio luglio del 2019. Una parte di loro – Joyce insieme a Undici e ai suoi due figli Will e Jonathan – ha lasciato la cittadina dell’Indiana per cercare fortuna in California. Lo sceriffo Jim Hopper, creduto morto da tutti dopo essersi sacrificato alla fine della terza annata per consentire a Joyce di distruggere il macchinario messo a punto dai russi per aprire il portale che collega la nostra dimensione al Sottosopra, in realtà è finito in Unione Sovietica dove è stato rinchiuso in una prigione di massima sicurezza. Il resto della comitiva è rimasto a Hawkins, alcuni di loro non stanno attraversando un momento facile, in particolare Max, sconvolta dalla morte del fratellastro Billy che le sta causando una forte depressione. Nel mentre una nuova minaccia, proveniente sempre dal Sottosopra, si abbatte sulla cittadina iniziando a seminare paura e morte.

Dopo le prime due stagioni, dall’animo kinghiano e spielberghiano, nella terza i fratelli Duffer avevano operato uno scarto significativo, spostandosi verso la fantascienza per rendere omaggio ad autori come John Carpenter (La cosa ma anche Il Signore del Male) e James Cameron (Terminator) e a grandi classici del genere come L’invasione degli ultracorpi e Blob – Fluido Mortale. In questa quarta stagione ritorniamo in modo deciso e perentorio nei territori cupi e nelle atmosfere dark del genere horror, con un occhio sempre rivolto a Stephen King (1) e l’altro al seminale Nightmare di Wes Craven, preso a modello di riferimento dai Duffer per la creazione di Vecna, la nuova entità malvagia emersa dal Sottosopra che prende di mira le ragazze e i ragazzi più fragili di Hawkins, facendo leva sulle loro debolezze e insicurezze per impossessarsi di loro e ucciderli. Dopo un inizio incerto e farraginoso al terzo episodio i fratelli Duffer finalmente trovano la quadra, il ritmo si fa incalzante e  le nuove (dis)avventure dei protagonisti divengono coinvolgenti e appassionanti fino a raggiungere l’apice nel quarto capitolo in cui vediamo Max trascinata nel Sottosopra da Vecna, pronto a ghermirla e a recidere la sua giovane vita. Chi ha già visto l’episodio uscito a fine maggio ricorda bene il suo crescendo inarrestabile dovuto al sapiente lavoro di montaggio e la rilevanza a livello drammaturgico della sublime Running Up That Hill di Kate Bush, canzone di metà anni ‘80 che le nuove generazioni hanno scoperto e imparato ad amare proprio grazie a Stranger Things. Insieme al settimo e al nono capitolo il quarto rappresenta uno dei vertici per pathos e intensità di questa penultima stagione, capace di suscitare in pochi minuti una vasta gamma di emozioni e sensazioni affrontando una tematica difficile e delicata come la depressione, un disturbo accostato raramente agli adolescenti. La rossa e combattiva Max, ben interpretata da Sadie Sink, è uno dei personaggi meglio approfonditi e sviluppati nel corso di questa stagione insieme alla new entry Eddie Munson (2), impersonato dall’attore londinese Joseph Quinn, e al nuovo villain Vecna, uno dei punti di forza della quarta annata che ritroveremo senz’altro nella quinta. Non si può dire altrettanto di altri personaggi, Mike, Will e Jonathan su tutti, che appaiono alquanto piatti e sbiaditi, avulsi dal contesto generale. Anche Undici, la super eroina del gruppo, non brilla particolarmente in quest’annata, complice la fase delicata in cui la ritroviamo che la vede lontana da Hawkins, privata non solo dei suoi poteri ma anche dell’affetto di Mike e del padre putativo, lo sceriffo Hopper. Il mini gruppo, ormai consolidato dalla terza annata, formato da Dustin, Steve e Robin con l’aggiunta di Nancy, continua a regalare alcuni dei momenti più riusciti e divertenti della serie.

Dopo una stagione interlocutoria come la terza, questa penultima annata rilancia la serie ammiraglia di Netflix, seppur non manchino alcuni difetti evidenti, dovuti a una narrazione non sempre centrata ed efficace nonostante gli autori abbiano avuto dalla loro la libertà e la possibilità – grazie a un budget importante e a una durata ragguardevole – di poterla sviluppare in modo esaustivo. Adesso non resta che attendere l’ultima stagione per poter vedere come i fratelli Duffer tireranno le fila di questa lunga storia, iniziata sei anni fa, che in pochi avrebbero immaginato potesse raggiungere un successo globale di tali dimensioni: imbevuta di elementi soprannaturali e fantastici, ma che poggia le sue fondamenta nei legami affettivi e sentimentali, nell’amicizia che rafforza e unisce un gruppo di ragazzi, divenuti nel frattempo delle giovani donne e dei giovani uomini, dando loro la forza e il coraggio di compiere azioni straordinarie e di combattere contro il male e l’oscurità.

(1) Forse senza le opere di King Stranger Things non esisterebbe o quantomeno sarebbe molto diverso. I Duffer hanno pescato a piene mani dai suoi romanzi e racconti, a partire dall’imprescindibile IT fino a L’incendiaria, senza dimenticare Il corpo (racconto contenuto nella raccolta Stagioni Diverse). Nell’episodio finale della quarta stagione viene citato e mostrato Il Talismano, romanzo fantasy del 1984 scritto da King assieme a Peter Straub. È notizia recente che il prossimo progetto dei fratelli Duffer sarà proprio una serie TV tratta da questo romanzo e prodotta sempre da Netflix.

(2) Protagonista anche di una delle scene più elettrizzanti e trascinanti del nono e ultimo capitolo: l’assolo di chitarra iniziale di Master of Puppets dei Metallica che a quanto pare è stato eseguito da Tye Trujillo, il figlio di Robert Trujillo, bassista del gruppo dal 2003.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.