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The Affair foto1

La verità che preferiamo raccontarci.

È difficile ma basta poco, spesso un’intuizione, per creare qualcosa di nuovo in quel magma ribollente e in continua trasformazione che sono oggi le serie tv, un calderone che ci restituisce l’impietoso ritratto della nostra attualità, politica ed emotiva. The Affair (di cui poco tempo fa è finita la terza stagione, e siamo in attesa per una quarta) è stata scritta a quattro mani da Sarah Treem e Hagai Levi, e si potrebbe dire che la scrittura a quattro mani stavolta era proprio necessaria data la peculiarità che fa di The Affair quel piccolo gioiello che è: la continua, ontologica e necessaria alternanza del punto di vista maschile e femminile. La doppia prospettiva con cui è diviso (quasi) ogni episodio e su cui è in tutto impostata la serie, rappresenta un vero e proprio osservatorio attraverso cui sperimentare o rivivere scelte, rinunce, esperienze che si accumulano nella quotidianità con il tempo che passa e ci cambia, evidenziando che quello che magari andava bene un giorno, il giorno dopo sarà assolutamente sbagliato. Quest’alternanza si è dimostrata terreno fecondo per Treem e Levi per poter analizzare e mettere sotto il microscopio l’essenza stessa del racconto: perché esattamente alla stregua di un marito fedifrago, anche lo scrittore è soprattutto impegnato nell’invenzione di storie più o meno credibili. È questa (il racconto, la storia, l’essenza della traduzione-tradizione narrativa) la misura della finissima tessitura di uno show che prende il via da una cosa tanto banale come un tradimento estivo, con due amanti e la loro attrazione – inevitabilmente – fatale.
Il centro di The Affair allora non sono i fatti, così come ci ha abituato una delle migliori televisioni degli ultimi anni (vedi CSI), bensì proprio la narrazione stessa. Perché mettere a confronto, nello stesso episodio, lo stesso identico accadimento ma visto prima da lui – un bravo Dominic West – e poi da lei – Ruth Wilson, straordinaria nell’essere sfuggente fin dallo sguardo, scivoloso e ambiguo -, vuol dire mettere a confronto due modi di vivere un’esperienza, due modi di raccontarla a noi stessi e di ricordarla, due modi di vedere la realtà e di interpretarla, filtrarla, cucircela addosso a seconda delle nostre esigenze più o meno plausibili e lecite. Nella prima stagione, Alison e Noah sono interrogati da un detective: qualcuno è stato ucciso (ma non sappiamo chi né ovviamente da chi), e ripercorrono quindi la loro relazione riesaminandone l’inizio e lo svolgimento. Le loro versioni non concordano – quasi – mai, perché le angolazioni, i fatti, gli ambienti, le parole, i vestiti, sono sempre, più o meno, leggermente differenti. Ne esce fuori che la realtà, quella vissuta, non è mai (né può esserlo, e forse neanche deve) identica per tutti, perché ognuno ha una sua verità di comodo e può costruire il proprio punto di vista sulla base dei suoi desideri, per coprire le sue mancanze, per adeguare i ricordi ai morsi della coscienza.
La seconda stagione approfondirà ancora di più quest’aspetto, mentre la terza, finora la più deludente, ha dovuto per forza di cose tirare le fila del racconto giallo per dare finalmente alcune risposte.
The Affair a conti fatti ha molte frecce da scagliare contro lo spettatore. Parte come indagine su un delitto, ma si rivela anche un romanzo d’appendice e un esercizio magistrale di scrittura. Nel senso più importante, è però anche una finestra aperta sul rimosso e sul rimorso con cui dobbiamo fare i conti mentre, giorno per giorno, duelliamo con la nostra esistenza seppellendo sempre più in fondo, sempre più in basso, le colpe nostre e dei nostri padri. Senza neanche volerlo.

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Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.