Un’opera sci-fi fragile e imperfetta ma suggestiva a livello visivo e tematico.
Nel 2065 l’umanità – o meglio l’Occidente – è impegnata in una guerra cruenta contro i robot e tutte le creature dotate di Intelligenza Artificiale, come gli avveniristici simulant (macchine dai volti e dalle fattezze umane). Il conflitto si concentra soprattutto nella Nuova Asia, dove le creature artificiali vivono in pace e armonia con gli esseri umani locali. Joshua, ex agente delle forze speciali americane alle prese con una difficile e dolorosa elaborazione del lutto, è richiamato sul campo per infiltrarsi nelle linee nemiche col compito di eliminare il “creatore”, soprannominato Nirmata, ovvero lo scienziato che ha reso possibile la ribellione delle macchine, in lotta per affrancarsi dal controllo degli uomini e poter vivere in libertà e autonomia. Le sorti della guerra sembrano sorridere all’umanità grazie a Nomad, una gigantesca, imponente e inattaccabile astronave utilizzata come una terribile arma di distruzione di massa, in grado di bombardare dall’alto qualunque zona sottostante dopo averla individuata e mappata tramite i suoi avanzati sensori che proiettano sul terreno una fredda, sinistra e mortale luce azzurra. Ammesso che non siano vere le voci, sempre più insistenti, secondo cui Nirmata abbia progettato un’arma formidabile capace di attaccare e distruggere la fortezza volante e di porre fine al conflitto.
Il regista inglese Gareth Edwards è uno degli autori contemporanei più interessanti e talentuosi per quanto riguarda la fantascienza e il monster movie, generi a cui ha apportato una sua personale e originale cifra stilistica. Proprio per questi motivi The Creator era un film molto atteso dagli amanti del genere, dopo le buone e promettenti prove di Edwards in Monsters, Godzilla e soprattutto in Rogue One, dove si era addentrato nell’universo di Star Wars per trarne un war movie sporco, adulto e disperato. A livello visivo e scenografico The Creator è assai ricercato e suggestivo, con una prima parte che cita e omaggia palesemente le atmosfere e gli scenari di Apocalypse Now, il capolavoro di Francis Ford Coppola sulla guerra del Vietnam. Le tematiche affrontate da Edwards legate al ruolo e all’impatto dell’Intelligenza Artificiale nella nostra società sono di grande attualità, così come la divisione e la contrapposizione tra il mondo occidentale guidato dagli Stati Uniti dalle perenni tendenze colonialiste e imperialiste e i continenti meno ricchi e opulenti dove gran parte della popolazione vive in miseria e povertà. In questo scenario ucronico, sinistramente plausibile, ambientato in un futuro non troppo lontano, Edwards inserisce fin troppi temi, compresi quelli esistenziali, spirituali ed etici legati al concetto di creazione, con l’aggiunta di una figura salvifica creata per amore (dolorosa proiezione di una maternità interrotta), una bambina artificiale più umana degli umani (come nel film lo sono la maggior parte dei robot e dei simulant), dotata di sentimenti come l’empatia e la pietà che non sembrano più appartenere alle persone. Il discorso che porta avanti Edwrds all’interno dell’arco narrativo del film sarebbe molto interessante e non banale – macchine dai sentimenti umani contro soldati disumani – se nella seconda parte non diventasse caotico e confusionario, poco compatto e coeso nel cercare di chiudere, purtroppo con un certo affanno e talvolta con mancanza di lucidità, i vari argomenti intrapresi e affrontati. Anche il rapporto putativo padre – figlia tra Joshua e la bambina si sviluppa in modo piuttosto canonico e convenzionale, proprio come ci si immagina fin dall’inizio e la questione delicata e spinosa sull’Intelligenza Artificiale rimane marginale, non sviluppata a dovere. Pecche e fragilità strutturali che si possono riscontrare anche in film come Elysium e Humandroid di un autore affine a Edwards come Neill Blomkamp. Entrambi hanno dimostrato di avere un grande talento visivo e una naturale propensione per il genere sci-fi, entrambi si sono smarriti sul più bello, non riuscendo a gestire fino in fondo la materia trattata. Alla fine resta la consapevolezza di aver assistito a un’opera imperfetta ma di grande impatto (come nelle scene di guerriglia dove Edwards dà il meglio di sé) che si trascina dietro più di un rimpianto per l’enorme potenziale sfruttato solo in parte.
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