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I compromessi e il multiverso.

Multiversi, versioni alternative sdrucite e improbabili oppure inquietanti oppure – perché no? – “fraterne”, cugini caduti così quasi a caso, ritorni iconici dal passato e magari dal futuro, personaggi mancanti però presenti, eccome (vedi Aquaman nei titoli di coda). Per essere un film la cui morale è rappresentata alla fine dalla necessità di accettare la perdita come parte inscindibile della vita, The Flash di Andy Muschietti bada bene a non dimenticarsi e lasciare andare (quasi) niente, anzi, fa del suo meglio per innestare anche ciò che fa fatica a starci.

Primo compromesso: sarà pure uno stand-alone il film sul supereroe più veloce dell’universo, ma appare talmente affollato di comprimari dalla statura di (potenziali) protagonisti che l’eco sul DC Extended Universe si potrebbe far sentire quanto una Justice League – che i protagonisti tentano di ricreare salvo finire, anche qui, in un vicolo cieco per via della timeline in cui si trovano. D’accordo, ormai coi supereroi va avanti così, a coalizioni, vanno impacchettati, messi assieme e stipati a prescindere, anche perché forse non sono più così super e salvare il cinema (ossia il mondo) è impresa superiore alle forze di uno solo, si trattasse pure di Superman. Ma è qui che si palesa un secondo compromesso: alla lunga un classico cattivo senza se e senza ma (almeno uno) che sia intenzionato a distruggere la Terra o l’universo è indispensabile, mica si possono imbastire due ore e venti, durata ormai minima di un cinecomic che si rispetti, solo sull’idea “d’essai” del giovane Barry/Flash che saetta indietro nelle spire del passato per rimediare alla disperazione che lo affligge dopo la fine della sua famiglia. E quindi attenti, si va di riciclo, tirando fuori il vecchio generale Zod da L’uomo d’acciaio, il capostipite del DCEU. O meglio, una sua versione alla bisogna, siamo pur sempre in un’altra cronologia. L’impressione è che dalla penna di Christina Hodson sarebbe potuto sgorgare di meglio, ma tant’è: rimane comunque difficile annoverare tra le cose riuscite del film lo scontro con il villain sceso da Krypton che occupa molto, troppo tempo nella seconda parte del film di Muschietti.

Possiamo anche abbozzare (il film lo fa) e credere come il Batman di Michael Keaton che tutto il movimento tra le cronologie alternative sia l’equivalente di un bel piatto di spaghetti che s’intrecciano senza più un qualsiasi senso. Però i giochetti citazionistici tra l’ultimo Spider-Man della Marvel e Ritorno al Futuro (pane e companatico anche del ridondante, bislungo, reboante Spider-Man: Across the Spider-Verse) a un certo punto cessano di assolvere la loro funzione e noi ci ritroviamo dalle parti di un tipico film-supermercato, pieno di un po’ di tutto, pur coerente con le sue premesse (la gestazione è durata più di un decennio e si vede). E dire dove voglia andare a parare il film è in realtà molto più semplice che capire fino in fondo come questo sia stato sviluppato. Non è comunque il caso di giacere costernati, se l’universo condiviso della DC è così pasticciato: lo sapevamo già, e in fondo The Flash è pure un po’ sopra la media. In attesa ovviamente che sul tutto metta le mani James Gunn con Superman: Legacy, mentre già incombono (ahinoi) Blue Beetle e il prossimo Aquaman di James Wan.

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Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.