Un piccolo e avvincente thriller danese.
Per sua natura il Concorso del Torino Film Festival – riservato alle opere prime, seconde e terze – riserva da sempre grandi sorprese e offre l’opportunità di conoscere nuovi autori destinati a un fulgido avvenire. Basti pensare a quanto accaduto nel 2008 all’allora semisconosciuto Pablo Larraín (che lo scorso anno è tornato a Torino in veste di presidente di Giuria), selezionato in concorso con Tony Manero e consacrato di lì a poco come uno dei nuovi autori più importanti della scena cinematografica internazionale. Una delle tante e piacevoli sorprese di questa edizione porta il nome dello svedese Gustav Möller, classe 1988, giunto in concorso nella città sabauda col suo lungo d’esordio, The Guilty (Den Skyldige). Un piccolo e avvincente thriller che trasforma i propri limiti (il budget risicato) in punti di forza.
Copenaghen, Danimarca. L’agente di polizia Asger Holm, finito al pronto intervento telefonico a causa di un’indagine interna, riceve una chiamata da una donna in forte stato di agitazione che sostiene di essere stata rapita. Prima che la telefonata venga interrotta Asger riesce a carpire qualche dettaglio importante che lo aiuterà nell’indirizzare i soccorsi sulle tracce della donna, in una corsa contro il tempo tesa e ansiogena.
Girato in un unico luogo, gli uffici del pronto intervento telefonico, e interpretato da un unico attore, un formidabile Jakob Cedergren, con la macchina da presa costantemente incollata al suo volto dall’inizio alla fine (un po’ come accadeva in Locke di Steven Knight, che invece era interamente ambientato nell’abitacolo di un’automobile, con Tom Hardy alla guida impegnato in diverse conversazioni telefoniche). Una vicenda che si dipana sullo schermo in tempo reale e che mantiene altissima la tensione fino ai titoli di coda, con lo spettatore chiamato a partecipare attivamente durante la visione, stimolato a crearsi e a riprodurre le immagini di tutto quel che avviene fuori campo, nel mondo esterno, col solo ausilio dei suoni e dei rumori fuori scena, delle voci al telefono e delle espressioni del protagonista (che a volte finiscono per coincidere proprio con quelle del pubblico). Ne viene fuori un’opera sorprendente, dalla messa in scena essenziale, asciutta e rigorosa, capace di ribaltare i punti di vista e di spiazzare lo spettatore, costringendolo (insieme al protagonista) a rielaborare e inquadrare tutta la storia da un’altra prospettiva. La forza di The Guilty risiede proprio nel desiderio e nella capacità del regista, autore anche della sceneggiatura insieme a Emil Nygaard Albertsen, di affidarsi e donarsi completamente a chi guarda, consapevole che al termine della visione il film si presenterà in modo diverso ad ogni singolo spettatore. L’efficacia e la perfetta riuscita dell’operazione passano anche, inevitabilmente, dalla grande prova attoriale di Jakob Cedergren, chiamato a calarsi nei panni di un poliziotto impossibilitato ad agire in prima persona e costretto a affidarsi ai colleghi per cercare di risolvere una situazione che, sul finire, lo metterà di fronte ai propri demoni interiori e all’espiazione delle proprie colpe.
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