Sign In

Lost Password

Sign In

THE HATEFUL EIGHT

THE HATEFUL EIGHT

TheHatefulEightfoto2

Tarantino senza sovrastrutture.

Pochi anni dopo la conclusione della guerra civile americana, il cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell) sta accompagnando la prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh) alla città di Red Rock per la condanna a morte. Sulla loro strada incontrano l’ex maggiore Marquis Warren (Samuel L.Jackson) diventato anch’egli cacciatore di taglie e lo sceriffo della città Chris Mannix (Walton Goggins). Durante il viaggio i quattro sostano per un breve periodo in una locanda dove fanno la conoscenza di quattro misteriosi individui: il generale sudista Smithers (Bruce Dern), il mandriano Joe Gage (Michael Madsen), l’inglese Oswaldo Mobray (Tim Roth) e lo stalliere messicano Bob (Demian Bichir).

Due anni dopo Django Unchained, Quentin Tarantino ritorna al genere western per il suo ottavo film da regista, The Hateful Eight, che riunisce nel ricco cast sia vecchie conoscenze del regista come Kurt Russell, Samuel L.Jackson, Tim Roth e Michael Madsen sia nuovi volti per il suo cinema come Bruce Dern e la candidata all’Oscar Jennifer Jason Leigh. Dalla durata di quasi tre ore, che ne fanno il film di più elevata durata di Tarantino, The Hateful Eight, nonostante la condivisione del genere con il precedente Django Unchained, si dimostra come un’operazione ben diversa. Se nel film datato 2013, Tarantino per la prima volta sembrava essere caduto vittima di certe sue ossessioni di stile che andavano a inficiare un film comunque godibile, ma dall’immaginario sterile, con The Hateful Eight Tarantino compie un passo indietro rispetto a sé stesso, ma un passo avanti nell’economia del film e del suo procedere.

Va detto subito che, si sia detrattori o meno, uno dei più grandi meriti di Quentin Tarantino è stato quello di aver reso le proprie pellicole e quindi il proprio cinema roba soltanto sua, sia nel bene che nel male, una capacità ben più sfaccettata della riconoscibilità tipica della politica degli autori o del semplice marchio di fabbrica, con la capacità di prendere un mondo/immaginario prestabilito, di ribaltarlo e renderlo personale. Elemento questo che mi è sempre parso andare oltre il semplice gioco citazionista o di rimando, in una vera e propria ri-costruzione di qualcosa che non esiste. E The Hateful Eight non sfugge a questa logica, è un altro tassello del Tarantino World, semplicemente inimmaginabile fuori dall’orizzonte del suo autore.

Ma oltre alla riconoscibilità di quel mondo, vedendo The Hateful Eight l’impressione più netta è quella di stare assistendo ad un film che è semplicemente tutto lì, e che è veramente soltanto negli occhi di chi guarda e non del suo regista, un Tarantino che a dispetto della vicenda narrata è quanto mai rilassato e controllato, per una pellicola mai così semplice nella filmografia del cineasta di Knoxville, un film davvero scevro di sovrastrutture e anche placato dalle manie tarantiniane tanto vituperate dai non fan. Non ci sono sfasamenti temporali, a parte un necessario flashback esplicativo, la violenza ormai è assorbita e non ha più senso citarla quando si parla di Tarantino, ed è libero da ossessioni di maniera, a meno di non voler scandagliare The Hateful Eight col lumicino.

Mi pare quindi che il merito maggiore di Tarantino in questa sua nuova opera sia il quasi totale annullamento della sua firma e dell’egocentrismo, come anche dell’obbligo di vederci qualcosa per forza e a tutti i costi. Perché il punto non sembra nemmeno la lettura più ovvia e più giusta, come quella politica di apologo sulla violenza negli USA per la loro inestirpabile radice di odio e rabbia, o il gioco al massacro che il film racconta, né tanto meno la visione nel formato più corretto possibile.

The Hateful Eight non è l’apice del cinema di Tarantino, quello c’è già stato e si intitola Inglorious Basterds, né tanto meno l’avanzamento di una poetica o di uno stile che aveva già spiegato tutto con Reservoir Dogs, ma un film così limpido e chiaro nel porsi allo spettatore, quasi elementare nel lasciar spazio a dialoghi e personaggi, da bastare a sé stesso anche oltre la nomea e la reputazione del suo autore.

voto_4

Riccardo Tanco
Riccardo Tanco, classe 1993, Nasce a Bollate e vive a Novate Milanese. Diplomato al liceo linguistico nel 2012 comincia ad appassionarsi seriamente al cinema dopo una mistica visione di Pulp Fiction anche se consapevole che il cinema non è iniziato nel 1994. Ora da autodidatta e aspirante cinefilo cerca di scoprire i grandi autori del passato e i registi contemporanei sforzandosi di scriverne in maniera degna. Se glielo chiedono il suo film preferito è Apocalypse Now e ha come sogno nel cassetto fidanzarsi con l'attrice Jessica Chastain. Collabora con i siti Filmedvd, I-Filmsonline, SilenzioinSala e IntoTheMovie.