Un esordio d’autore.
Era davvero da un bel po’ di tempo che il mondo del cinema non vedeva l’ingresso di un “figlio di” nei propri ranghi con inevitabile codazzo di polemicucce: per fortuna che arriva la figlia del regista de Il Sesto Senso a riportarci con i piedi per terra e mostrare che non basta avere un cognome famoso per essere inetto.
The Watchers è tratto dal romanzo di A.M. Shine, ma è chiaramente una sorta di compendio del cinema di Night Shyamalan: riletto, però, da un’altra ottica, riversato in un altro mondo, rivisto con una declinazione trasversale, quella della figlia Ishana. In quanti sono ad aver dimenticato che la ragazza ha diretto alcuni episodi della bellissima Servant? Sicuramente meno di quanti hanno giustamente incensato la serie, probabilmente dimentichi del fatto che papà Shyamalan di Servant è stato produttore esecutivo e non solo, visto che ha infuso in tutti e 40 gli episodi la sua poetica, il suo gusto per l’oscurità, la sua ricercatezza formale come territorio dove il contenuto è anche contenitore. Tutto questo per dire che Ishana Shyamalan aveva già fatto (molto) bene, ma nessuno ha detto nulla finché è rimasta nell’ombra dei registi seriali: uscire allo scoperto l’ha messa sotto i riflettori, cosa che non sempre fa bene.
Perché The Watchers è un esordio eccellente che, se avesse avuto la firma di un anonimo esordiente, avrebbe ricevuto lodi sperticate: per la tenuta del ritmo, per la capacità di world building, per l’intelligenza di partire da territori narrativi più o meno battuti e distorcerli con facilità grazie alla propria visione.
È soprattutto questo che colpisce nel film: la bravura dell’autore di ingannare lo spettatore facendogli credere che siamo in un “classico” film con finale a sorpresa, e poi darglielo, quel finale a sorpresa, ma contemporaneamente beffeggiarlo perché niente è come si credeva. Che è poi la tecnica sopraffina di Shyamalan padre: ma se lui presentava il colpo di scena come un invito a non fidarci dell’inganno dei nostri occhi e a stare ben attenti all’epifania finale, la figlia Ishana prende il libro di origine e ne trae immagini che hanno la forma di dipinti, inquadrature che nascondono sempre un’ombra, impercettibile, improvvisa, inquietante. E insieme infarcisce il percorso con riferimenti alti: Alice e Lewis Carroll prima di tutto, ma anche il bosco, Bettelheim e Lacan (con tutti i sottotesti che si portano dietro), e ancora Bergman e la funzione del doppio. Sembra troppo, e lo è, ma la Shyamalan maneggia tutto con tale cura e consapevolezza da riuscire a creare un racconto che scorre lieve, a volte si inceppa, molto più spesso avvinghia lo spettatore, perché la storia prende in prestito suggestioni, ma colora tutto con una fotografia coerente e un gusto gotico non indifferente.
The Watchers rimane e si fa ricordare per alcune folgorazioni visive (la barca di notte, gli osservatori sulla riva del lago, la casa con la parete a specchio…), ma soprattutto per aver rivelato un’autrice che filtra le passioni del padre per assorbirle con il suo retroterra pittorico, letterario, cinefilo, creando un impasto che ha un incipit folgorante e un finale che con una piccola spinta in più sarebbe stato perfetto.
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