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Il quarto film di Thor.

Avevamo lasciato Thor insieme ai Guardiani della Galassia, imbolsito e intristito, mentre riecheggiavano le parole del defunto padre Odino che diceva che Asgard (la città dorata ormai distrutta) non è un luogo, ma sono le persone che lo abitano.

Riprendiamo allora le fila del racconto proprio da lì: come ormai ci ha insegnato l’MCU, questo enorme affresco narrativo che naviga tra macro e microstorie, vari livelli narrativi e sottotesti culturali più o meno affascinanti e attuali. Il quarto capitolo del biondo dio del tuono – primo Avenger a fare poker, su grande schermo – è un film di Taika Waititi all’ennesima potenza: come prendere Ragnarok e spingere a mille sulle caratteristiche che ne hanno decretato il successo, tra critica e pubblico.

Insomma, se si fa pace con il passaggio (ormai definitivo?) dell’eroe scandinavo dai suoi tormenti scespiriani alla sua simil-idiozia cialtrona, Love & Thunder continua il percorso di costruzione del suo regista in un interregno dove la psichedelia si fonde con il racconto picaresco in una dimensione profondamente, coraggiosamente fluo. Sottilmente ma prepotentemente differente dall’oltraggiosa anticonvenzionalità dei Guardians di Gunn e la sua rinnovata e ritrovata Troma, il Thor di Waititi riesce ad immergere elementi tipici della mitologia del personaggio marvelliano (le capre, il costume tamarro, l’armatura con inserti di metallo: tutta roba che viene da una delle run più belle della testata mensile, quello ad opera del geniale Walt Simonson) in un contesto dichiaratamente ed orgogliosamente pop. Senza dire che la trama viene dalla recentissima gestione del fumetto ad opera di Jason Aaron, prendendo in prestito alcuni elementi – dal villain, Gorr, fino alla tragedia personale di Jane Foster novella Potente Thor -, quello che basta per dare al film quell’afflato fumettistico che rende Love & Thunder il miglior film su Thor finora concepito.

Che non dimentica le profondità esistenziali dell’era Branagh, le contorsioni narrative di Whedon e le puntute tamarragini di Waititi: fondendole insieme in una storia che all’inizio svolazza tra risate e gag, alcune davvero molto riuscite, e poi grazie alla bravura clamorosa di Christian Bale si fa all’improvviso profondo, cambiando tono e colorazione – la sequenza in bianco e nero è suggestiva e riuscitissima – e dimostrando un’insospettata e insospettabile maturità.

Alla fine, se dal punto di vista narrativo la Fase Quattro dei Marvel Studios, tra serie altalenanti e film portentosi dal punto di vista del richiamo del pubblico, non ha ancora reso chiaro il suo obiettivo, da quello testuale si va via via sempre più definendo. Da WandaVision a Hawkeye, da SpiderMan: No Way Home a Doctor Strange Nel Multiverso della Follia e fino a Ms Marvel, Eternals e questo Love & Thunder, è chiaro un cambiamento sottile eppure copernicano nella prospettiva dei supereroi epos del nuovo millennio: se Endgame chiudeva con Tony Stark che faceva i conti con il padre, e proprio la figura paterna era al centro di una ricerca incessante e interiore, adesso siamo in presenza di un universo che fa i conti con il femminino e con il rapporto tra finitezza umana e ricerca di eternità, intersecando le linee del mistero sulle proprie origini e il bisogno di fare i conti con una figura materna da affrontare per poter sconfiggere il villain.

Consce o meno, sono queste le sottotracce che picchettano la trama di Love & Thunder, dallo scontro-incontro con la controparte femminile di Thor fino alla risoluzione finale, inedita per ogni appassionato del Thor cartaceo: tutto all’ombra di un confronto tra umanità e divinità che si risolve sempre nel fare i conti con la perdita, la morte e la propria finitezza.

Nel film, alla fine, coesistono senza nessun problema diverse anime apparentemente lontane e differenti tra di loro, dal cinecomic più puro al racconto di formazione, fino a toccare derive horror anche grazie ad una messa in scena assolutamente pazzesca e all’estro sia del regista sia del citato Bale, che dà vita ad un personaggio che spaventa veramente e veramente tocca il cuore: le diverse anime che rendono magmatico e ribollente tutto il Marvel Cinematic Universe, esagerato ed esuberante, ma sempre con il cuore in mano.

voto_4

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.