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TOO OLD TO DIE YOUNG

TOO OLD TO DIE YOUNG

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La serie tv ideata e diretta da Nicolas Winding Refn.

Poco importa che vi sia piaciuta o meno, che vi abbia ammaliato o esacerbato, che l’abbiate divorata o abbandonata dopo pochi minuti, quel che conta davvero è che Too Old to Die Young, la serie prodotta da Amazon e diretta interamente da  Nicolas Winding Refn, rappresenta un’esperienza unica nel suo genere a livello visivo e auditivo. NWR ci trasporta in una Los Angeles notturna e spettrale, aliena e semideserta, illuminata in modo magistrale da Darius Khondji e da Diego García, che si è occupato prevalentemente dell’ambientazione messicana. Fin dalle prime scene balza agli occhi la cura maniacale della messa in scena, l’uso insistito e compiaciuto del piano sequenza, accompagnato dalle musiche ipnotiche e avvolgenti di Cliff Martinez, compositore di fiducia di NWR dai tempi di Drive, che è in grado di produrre squarci elettronici che graffiano e colpiscono in profondità lo spettatore.

Too Old to Die Young è immerso in atmosfere malate e disturbate, ha tempi narrativi (o meglio anti narrativi) dilatati e si caratterizza per una recitazione catatonica dei personaggi principali, in primis quello di Miles Teller, che infatti ricorda non poco il Ryan Gosling di Drive e Only God Forgives. I rimandi, gli echi e gli sprazzi lynchani sono palesi ed evidenti, come le situazioni ironiche o le parentesi bizzarre e grottesche che si susseguono nell’arco di tutta la serie, spesso al limite o oltre il limite, quasi a voler spiazzare ulteriormente lo spettatore (si pensi ad esempio al personaggio costantemente sopra le righe interpretato da William Baldwin).

Negli ultimi anni sentiamo dire sempre più spesso a proposito di serie televisive importanti e blasonate che in realtà si tratta di un unico film di otto, dieci o dodici ore: anche per TOTDY si può affermare la stessa cosa, come avvenuto lo scorso anno con la terza stagione di Twin Peaks. Forse, per la serie scritta e ideata da Refn insieme al fumettista statunitense Ed Brubaker, si potrebbe anche sostenere che al suo interno contenga più di un film (come dimostrato dai primi due episodi che presentano personaggi e ambientazioni diverse), se consideriamo anche la notevole e anomala durata di almeno la metà degli episodi che sfiorano o superano i novanta minuti, ben al di sopra di qualsiasi serie tv.

In questa messa in scena curatissima e formalmente inappuntabile, contraddistinta e ossessionata da inquadrature perfettamente simmetriche, ciò che manca completamente è la caratterizzazione psicologica dei personaggi, lo scavo interiore. Siamo in presenza di figurine vuote, di manichini da spostare a piacimento dell’autore-demiurgo all’interno delle varie scene. A qualcuno potrà sembrare un limite o un difetto, chi invece condivide questa continua ricerca estetica/estetizzante  del regista danese lo interpreterà come un aspetto del tutto marginale e secondario. Un po’ come accadeva nei film di Dario Argento, altro punto di riferimento di NWR che, dopo The Neon Demon, ha nuovamente omaggiato Suspiria in questa sua prima serie americana (si pensi all’uso espressivo del colore presente nel sesto episodio in una delle scene più belle e suggestive di tutta la stagione).

Refn è interessato principalmente a come si muovono e alle pose che assumono i suoi attori sul set, assai meno alla caratterizzazione dei personaggi o allo sviluppo narrativo della storia. Too Old to Die Young rappresenta un nuovo approccio alla serialità, radicale e senza compromessi, un nuovo punto d’arrivo (o di partenza). Un’esperienza sensoriale forse irripetibile, un viaggio onirico e lisergico in un mondo violento e feroce, crudo e sanguinario, una sorta di installazione video più adatta a un museo di arte contemporanea che al piccolo o al grande schermo.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.