Il nuovo film di Ulrich Seidl in anteprima italiana.
Tra i tanti appuntamenti imperdibili della 64ma edizione del Festival dei Popoli è da segnalare l’anteprima italiana di Wicked Games: Rimini Sparta, opera fluviale di Ulrich Seidl, ospite dell’autorevole kermesse fiorentina dedicata al cinema del reale dove lunedì 6 novembre ha tenuto una masterclass. Il nuovo film del regista austriaco rappresenta in realtà un dittico, composto da Rimini, uscito anche nei nostri cinema lo scorso anno, e dal controverso Sparta, lavoro boicottato e rifiutato da vari festival, dopo l’anteprima a San Sebastian, a causa delle accuse di sfruttamento minorile che gli sono state mosse (e successivamente smontate) dal settimanale tedesco Der Spiegel.
Seidl ha dichiarato di aver sempre pensato a Rimini e a Sparta come a un unico film in cui si racconta la storia dei fratelli Richie e Ewald Bravo che all’inizio, nel nuovo montaggio lungo quasi tre ore e mezza voluto dal regista, vediamo riuniti in occasione dei funerali della madre, per poi separarsi e tornare alle loro vite. Entrambi hanno abbandonato l’Austria, lasciandosi alle spalle dei trascorsi dolorosi e difficili e un padre ricoverato in una casa di cura perché affetto da demenza senile. L’uomo anziano, nella sua totale perdita di contatto e percezione della realtà, ha però mantenuto intatta la sua fede nel nazismo. Istrionico e debordante, Richie è un cantante sul viale del tramonto che vive a Rimini, dove si esibisce in hotel e dancing per gruppi di turiste e fan attempate che talvolta lo pagano per ricevere in cambio prestazioni sessuali. Il fratello minore, Ewald, si è trasferito in Romania dove vive con la compagna. Le loro vite, già segnate dal rapporto con un padre mostruoso, vengono stravolte dall’arrivo della figlia abbandonata quando era solo una bambina da Richie e dalla presa di coscienza di Ewald di pulsioni sessuali indicibili, malate e disturbate che lo porteranno a lasciare la fidanzata per trasferirsi nella campagna rumena e dar vita a un’improvvisata scuola di judo – la Sparta del titolo – per bambini e ragazzi.
Con la cifra stilistica che contraddistingue fin dagli esordi il suo cinema – la frontalità della messa in scena, le inquadrature fisse alternate a quelle mosse della camera a spalla, un cast composto da attori professionisti e non professionisti in cui gli interpreti non devono recitare un ruolo ma essere e diventare quel determinato personaggio – Seidl racconta una storia incentrata sul rapporto (o per meglio dire sulla sua mancanza) padri – figli. Richie prova a ricostruire in modo goffo e faticoso un legame che non ha mai avuto con la figlia, arrivata a Rimini per chiedere al padre quel mantenimento economico e quell’affetto che le sono stati negati. Ewald, il più fragile dei fratelli Bravo, quello dei due che probabilmente ha subito maggiormente il padre (ex) nazista, finisce con l’instaurare un legame paterno, seppur deviato e morboso, con uno dei bambini della grottesca comunità che prova a mettere in piedi nella campagna rumena. Pur affetto da tendenze sessuali che cerca affannosamente di reprimere, Ewald si prende a cuore le sorti del bambino, con cui si identifica perché si rivede nella sua fragilità e impossibilità di intrecciare un legame col rozzo e insensibile padre biologico. Nei fratelli Bravo si rispecchiano e ritrovano altri personaggi della filmografia di Seidl, lucido osservatore della nostra contemporaneità a cui viene continuamente rimproverato di essere un misantropo per il semplice fatto di suscitare e provocare un certo disagio nello spettatore che si ritrova impossibilitato a identificarsi nei protagonisti dei suoi film. Il regista austriaco, come ha affermato durante la densa e interessante masterclass tenuta ai Popoli, non è interessato a esprimere un giudizio morale o creare una netta separazione tra buoni e cattivi, ma vuole riprodurre la complessità della realtà. Fermamente convinto che in ogni individuo ci sia del buono e del cattivo, Seidl volge lo sguardo a questa ambivalenza, per fare in modo che il pubblico maturi in autonomia, durante la visione, un proprio giudizio morale sui vari personaggi portati in scena. In realtà, nell’osservare la dolente parabola dei fratelli Bravo, è difficile non provare un moto di pietas nei loro confronti. Seidl li guarda, segue e filma senza alcuna volontà di condanna. Le loro debolezze e umiliazioni, la loro difficoltà nel vivere quotidiano e nel rapportarsi con gli altri non sono poi così circoscritte ma riguardano la nostra società e si possono estendere a buona parte dell’umanità. Come ha ripetuto più volte durante l’incontro a Firenze, Seidl fornisce uno specchio agli spettatori: sta a loro guardarci dentro, stare al gioco o rifiutare questo tipo di approccio.
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