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JULIETA

JULIETA

Julieta foto1

Almodóvar tra leggerezza e gravità.

Julieta (Adriana Ugarte) è una giovane insegnante di letteratura che vive assieme alla figlia Antìa (Blanca Parés) la quale, raggiunta la maggiore età, lascia la madre senza spiegazioni. Anni dopo, in procinto di partire per Lisbona assieme al compagno Lorenzo (Dario Grandinetti), Julieta (Emma Suarez) decide di restare a Madrid per ritrovarsi con Antìa, con cui non ha più contatti da 12 anni.

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016 e basato su tre storie tratte dal racconto breve In fuga scritto dal premio Nobel Alice Munro, Julieta è il nuovo film di Pedro Almodóvar a tre anni dall’ultimo, Gli amanti passeggeri. Lasciati i toni più scanzonati del film precedente, il regista spagnolo torna su terreni a lui maggiormente congeniali, realizzando un melodramma che si muove tra il presente e il passato della vita della protagonista, interpretata in età giovane da Adriana Ugarte e in età adulta da Emma Suarez.

Un melò alla Almodóvar  si potrebbe dire, con tutti i crismi del suo cinema più celebre e celebrato, e ovviamente ben riconoscibile. E in superficie Julieta appare come una palese riproposizione dei modi e degli elementi filmici del regista di Tutto su mia madre, un film che sembra osare poco e rischiare ancora meno, adagiandosi su un vestito autoriale che Almodóvar  cuce addosso alla sua opera. Ma proviamo a dimenticarci del metodo Almodóvar  e a scordare che cosa rappresentino il suo cinema e la sua poetica, perché Julieta è probabilmente il suo film più limpido da parecchio tempo, scevro cioè del barocchismo pressante della sua filmografia più conosciuta e soprattutto imbastito su una linearità quasi lieve nello sviluppo di una trama che oscilla tra presente e passato.

Ha l’aspetto del film “sospeso”, Julieta, un melò senza la furia emotiva del genere, che è girato come un thriller senza però i ritmi che contraddistinguono quest’ultimo. Una contraddizione che risulta evidente anche nella leggerezza con cui la sceneggiatura procede, ma estremamente complesso nei risultati. Perché Julieta è un film grave, nel senso che ogni parola pesa come un macigno, ogni scelta sbagliata colpisce fin troppo duro, ogni sentimento esce amplificato anche se Almodóvar lavora di sottrazione. È questo effetto di straniamento a convincere in Julieta, basti vedere come vengono girate con una grazia “pesante” tre eguali sequenze di addio, come la morte passi appunto sottotraccia, ma lasci effetti indelebili nel tempo, o il modo in cui viene pronunciata una frase di inquietante tristezza e pietà.

È allo stesso modo, Julieta, la perfetta rappresentazione della presenza/assenza della figlia Antìa, figura sempre citata e allusa, ma mai visibile nel presente e vissuta solo nei ricordi. Un film dolce e straziante che esplora il peso della colpa (vera o presunta) come parametro per i rapporti umani.

voto_4

Riccardo Tanco
Riccardo Tanco, classe 1993, Nasce a Bollate e vive a Novate Milanese. Diplomato al liceo linguistico nel 2012 comincia ad appassionarsi seriamente al cinema dopo una mistica visione di Pulp Fiction anche se consapevole che il cinema non è iniziato nel 1994. Ora da autodidatta e aspirante cinefilo cerca di scoprire i grandi autori del passato e i registi contemporanei sforzandosi di scriverne in maniera degna. Se glielo chiedono il suo film preferito è Apocalypse Now e ha come sogno nel cassetto fidanzarsi con l'attrice Jessica Chastain. Collabora con i siti Filmedvd, I-Filmsonline, SilenzioinSala e IntoTheMovie.