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Mr. Robot foto2

Mr Robot ha quella che io definisco una regia perfetta.
Una delle cose più difficili al cinema è sempre stato rendere l’idea di cosa sia la follia, soprattutto quando la si descrive da dentro, dal punto di vista chi ne soffre (vedi Shining o Schegge di follia). La follia – come tema più o meno principale di un film – è un osso davvero duro da affrontare, che i registi fuggono, o abbracciano in pieno solo quando hanno deciso, fin dall’inizio, di usare tecniche narrative decisamente fuori dal comune.
Tramite una fotografia molto originale (fredda, ipnotica e dei ritmi lentissimi – quasi catatonici) e una colonna sonora fatta di sintetizzatori “alienanti”, Mr. Robot ci porta dentro la mente disturbata di un personaggio complicatissimo recitato da un giovane fuoriclasse, Rami Malek, di cui Hollywood comincia a interessarsi seriamente proprio in questi mesi (sarà co-protagonista del remake di Papillon).
Ottimi attori (tra cui il ritorno di un Christian Slater in gran forma, finalmente) colonna sonora che spesso amplifica la tensione, un montaggio dal ritmo perfetto… Questa serie è talmente curata in ogni suo aspetto da diventare letteralmente magnetica per la mente dello spettatore, e la storia – per nulla banale, anzi, decisamente fuori dai soliti generi – ci arriva addosso con una potenza inaudita, e non affezionarsi alle vicende dei suoi personaggi tanto ben descritti diventa impossibile.
Ecco questo, secondo me, dovrebbe essere lo scopo di ogni regia…
E pensando a quella di Mr. Robot è davvero difficile trovarne dei difetti.

Mr Robot è un giovane colletto bianco dei computer, un programmatore per una società di security come tanti altri. Un ragazzo timido e introverso, con un’infanzia alle spalle in cui si nasconde sicuramente qualcosa di oscuro e terribile che lui però ha totalmente rimosso, e dal momento che nemmeno lui sa davvero di cosa si tratti, non lo sa nemmeno lo spettatore.
Robot non vuole nemmeno saperlo veramente in realtà, e il risultato è che il protagonista principale di questa serie è un autentico sociopatico, che riesce a interagire con gli altri esseri umani soltanto “hackerandoli”, ovvero capendo come funzionano, quali corde muovere per riuscire a interagire con loro e dunque fingendo, giorno per giorno, di essere umano.
Questo non sarebbe nemmeno un grosso problema, in realtà, se non fosse che Robot è un hacker di una bravura smisurata.
E un hacker pazzo, a dirla tutta.
Dietro una “sana” crociata hacker contro una multinazionale (che ha causato la morte di un bel po’ di persone, un po’ come la Thyssenkrupp qui da noi) si nasconde invece il delirio di un hacker che è un fuoriclasse in quello che fa, ma dentro di sé è totalmente pazzo.

Altro pregio oggettivo di Mr Robot è senza dubbio quello di mostrare il “mestiere” dell’hacker con una serietà e un realismo assolutamente fuori dal comune sia per il piccolo che per il grande schermo.
Una lunga serie di film – Matrix primo fra tutti – ci ha abituato allo stereotipo dell’hacker davanti a programmi fantascientifici realizzati in mirabolanti grafiche in 3D, sempre tutto intento a battere sulla tastiera più veloce che può, come se dalla velocità con cui riesce a battere sulla tastiera dipendesse la sua stessa vita.
Ma un hacker vero non lavora così, tanto meno batte sulla tastiera più veloce che può.
Mr. Robot ci mostra infatti grafiche dei programmi ridicole, comandi DOS, e tempi di hackeraggio a volte lunghissimi, dove il momento di massimo terrore è spesso quando batti quell’ultimo, fatidico tasto di invio nel silenzio di casa tua.

Se volete farvi un tuffo nel mondo dei veri hacker, per capirne di più anche di una realtà come per esempio quella degli hacker anarchici di Anonymous, vi consiglio caldamente di provare a seguire questa serie.
Non ne resterete delusi.

voto_4

Wallace Lee
Wallace Lee è uno scrittore ed editorialista di cultura per vari siti e riviste. E' noto principalmente come l'autore di Rambo Year One, romanzo-prequel non ufficiale del primo film. Pur essendo solo un ebook gratuito per motivi di copyright, Rambo Year One è arrivato in finale a due premi letterari ed è stato elogiato da personaggi del calibro di Lindsay Johns, noto giornalista inglese di cultura per la BBC.