THE OPEN HOUSE

(Regia: Matt Angel, Suzanne Coote, 2017, con Dylan Minnette, Piercey Dalton, Patricia Bethune, Sharif Atkins, Aaron Abrams)

THE OPEN HOUSE

In seguito alla tragica scomparsa del marito e dei conseguenti problemi economici, Naomi si trasferisce insieme al figlio adolescente nella casa di montagna che la sorella ha messo in vendita, nella quale i due potranno rimanere fino alla chiusura della cessione. Giunti sul posto, iniziano a essere vittime di fenomeni strani e misteriosi, che causano loro uno stato di panico e paranoia.
Lo sappiamo bene, oggigiorno, a causa di un’offerta a dir poco vasta, inesauribile e pantagruelica nel proliferare di piattaforme online e canali televisivi, è sempre più difficile calamitare l’attenzione del pubblico su un film o una serie tv. The open house, l’ultimo thriller sbarcato su Netflix il 19 gennaio, si sta conquistando una certa attenzione da parte degli utenti, non tanto per un passaparola positivo ma per i suoi (presunti) demeriti. Basta farsi un giro su internet per constatare immediatamente quanto il film scritto e diretto da Matt Angel e Suzanne Coote stia infastidendo e irritando gli spettatori. Quasi tutti concordano nel dire che si tratta di prodotto sciatto e sconclusionato, con un finale confuso e irricevibile. Ed è proprio nel suo epilogo che vanno ricercate le antipatie e il rifiuto del pubblico che sui titoli coda si sente deriso e preso in giro per la mancanza di una soluzione, per la scelta – sadica ma oculata e calcolata – da parte degli autori di non fornire una spiegazione finale che sveli i misteri e le zone d’ombra che si moltiplicano durante la visione. Lo spettatore pertanto, dopo novanta minuti ben costruiti e architettati in cui la tensione non viene mai a mancare, si sente frustrato perché privato della possibilità di rimettere a posto i vari pezzi del puzzle. Come se lo “spiegone” finale fosse sempre e comunque un valore aggiunto, come se un film di genere dovesse per forza di cose preoccuparsi di fornire una soluzione logica e razionale per conquistarsi i favori del pubblico. E se invece quel che i più indicano e recepiscono come il maggior difetto del lungometraggio di debutto di Angel e Coote fosse il suo valore aggiunto? Molti, pur dichiarandosi amanti e abituali fruitori di thriller/horror, dimenticano spesso che si tratta di un genere nato per destabilizzare e disturbare il proprio pubblico di riferimento e non per assecondarlo o rassicurarlo. Il finale aperto di The open house non si cura di rispondere alle innumerevoli domande che sorgono spontanee nel corso della visione, preferendo lasciare tutto in sospeso senza appagare la naturale e ovvia curiosità dello spettatore che vorrebbe venire a capo dell’intricata vicenda. Si rimane invece spiazzati e interdetti davanti a un tale epilogo, confusi e irritati mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda, con la sensazione che non ci siano stati forniti gli elementi necessari per venire a capo del mistero. I due giovani autori, presenti nel film in due piccoli e brevi ruoli, dimostrano personalità e un certo coraggio nel non concedere facili appigli, preferendo lasciarci con un pugno di mosche piuttosto che condurci e scortarci per mano fino alla fine. Chapeau. (bs)

voto_4