THE HUMAN VOICE

(Regia: Pedro Almodóvar, 2020, con Tilda Swinton)

THE HUMAN VOICE

Una donna, sola, bella, raffinata e alla fine del rapporto amoroso con il suo uomo. Un dialogo telefonico che suona come un soliloquio dentro uno spazio che ribolle di passioni (di passione): come un torrido luogo della mente e dell’anima che si oppone al “fuori” freddo, impersonale, triste e squadrato di un capannone industriale e di una vita senza amore. Nella trasposizione millimetrica, artificiosa, colorata e affilata di Pedro Almodóvar della pièce di Jean Cocteau, a colpire non è tanto l’eleganza della messa in scena quanto il piglio inflessibile del montaggio: una scansione tanto precisa da scansare l’autoreferenzialità di un monologo che è dialogo che è monologo. Un dramma in crescendo che sublima poco a poco la solitudine e la disperazione dell’abbandono da parte dell’amante nella determinazione pura e fredda dei gesti e della decisione nel procedere all’autodafé. Tilda Swinton è sempre magistrale e mai glaciale in questa gemma di puro cinema dentro la forma di un teatro asciugato e rarefatto, senza echi ingombranti di significato (troppo semplice e un po’ stolido leggere tutto in chiave di confinamento indotto dalla pandemia). Nella forma certo più accessibile del cortometraggio, una prova in linea con la poetica del regista spagnolo, grande maestro di sentimenti forti e di forme melodrammatiche, negli ultimi anni sempre più capace di esprimersi dentro le spire di un umanesimo doloroso né algido né blandamente cinefilo. (dz)

voto_4