Sign In

Lost Password

Sign In

KC foto5

Oltre il twist ending.

Cos’è Bussano alla Porta? Un dramma da camera, un horror survivalista, un film sull’apocalisse; o tutto insieme e quindi semplicemente un film di Shyamalan. Perché dopo un periodo durato qualche anno e una manciata di film fuori fuoco, il regista di Mahe ha rimesso brillantemente mano alle sue ossessioni e al suo mondo, liberandosi da un peso grosso come un macigno, quel twist ending che aveva così rumorosamente caratterizzato il suo stile.

Una liberazione che era necessaria come l’aria, perché era diventata una cicatrice fastidiosa, uno stigma che fagocitava i suoi film. È bastato allora avere la forza di scrollarselo di dosso, la necessità di quel punto di vista rovesciato posizionato alla fine, per tornare a brillare, puntando il focus sul nucleo ribollente della sua filmografia. Bussano alla Porta parte dunque proprio da qui: dalla volontà ferrea di mostrare la verità, per sparare un flash di luce improvvisa su quella Verità che è nascosta proprio sotto i nostri occhi, nascosta sotto l’immanenza indecifrabile che si agita proprio dietro l’angolo visivo del nostro sguardo.

Knock at Cabin inizia così, mettendo subito in chiaro quello che vuole raccontare: c’è la bambina protagonista che cattura un grillo, intorno a lei una natura luminosa, lussureggiante, ma in un lento, costante e sommesso movimento dietro il quale si nasconde qualcosa. Che lei non riesce ad afferrare subito, e neanche lo fa Leonard, il villain che vuole essere suo amico, Leonard che volta continuamente lo sguardo per vedere ciò che (ancora) non c’è, ma lui sa essere lì intorno a loro. Nel suo 14° film, Shyamalan decide di spogliarsi ancora di più di ogni orpello, di scarnificare la messa in scena – uno chalet, una camera, sette personaggi -, di arrivare subito al punto: così l’immanenza, da sempre presenza-assenza nelle sue opere migliori (come nelle peggiori, o in quelle di mezzo e incomplete: vedi E Venne Il Giorno, che di Bussano alla Porta può essere considerato a tutti gli effetti un necessario antefatto trovando così la giusta collocazione nella filmografia dell’autore), non ha più nulla di misterioso e la rivelazione arriva nel suo senso biblico pieno e apocalittico.

Tutto il resto è poi purissimo cinema. Dalle interpretazioni raffinate, con Dave Bautista in testa e subito a seguire l’attore feticcio Rupert Grint; ad una messa in scena ricamata fino al più piccolo dettaglio, stracolma di easter egg, richiami, coincidenze, collisioni, geometrie nei particolari, nei colori, nelle scritte che appaiono qua e là; fino alla gestione del ritmo e della suspense, cosa nella quale Shyamalan è ormai maestro, secondo solo all’indiscusso Steven Spielberg. In questo senso, l’essenzialità scenografica di Bussano alla Porta segue in parallelo il portato teorico, che stavolta si riduce a scelte etiche di portata vertiginosa.

Non che questo impedisca comunque di creare un film denso: puntellata da primissimi piani, l’opera dell’autore indiano ha una dimensione tragica che si fa intensa fin dall’inizio, richiamando filmografie geograficamente lontane (l’home invasion dal Funny Games di Haneke, il sacrificio personale a favore della comunità dal miglior Lanthimos), ma rimanendo prepotentemente, inevitabilmente, profondamente autoriale, legato e anzi impregnato dello stile di un regista che ha creato un vero e proprio genere, lo ha saturato, lo ha abbandonato e si è saputo reinventare restando sé stesso, mentre nello stesso tempo infrangeva un patto con lo spettatore per poi stringerne uno ancora più saldo.

voto_4

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.