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L’AMANT D’UN JOUR

L’AMANT D’UN JOUR

L'amant d'un jour foto1

Il privato come chiave di lettura del presente.

Come in L’avenir di Mia Hansen-Love un docente di filosofia, divorziato ma innamorato di una sua studentessa, e una donna (la figlia, coetanea della sua amante) appena uscita da una lunga relazione. L’amant d’un jour trova il suo epicentro in una frase di Gilles: “La filosofia non è un divorzio dalla vita”. Ma Garrel vuole riflettere, e con sguardo molto acuto in un film decisamente ispirato, su cosa significhi il consumo d’amore oggi nella maniera più concreta possibile. Quindi l’antitetica dualità tra Arianne (l’amante) che vive le proprie passioni con frivolezza, senza alcun tipo di attaccamento ma con gran consapevolezza di se stessa, e Jeanne che con la sua concezione di amore come insieme di sentimenti e fedeltà (parola ricorrente nel film) di questi tempi sembra quasi demodé. La filosofia, quindi la nostra cultura e le proiezioni mentali che nascono in noi ogni qual volta speriamo o sogniamo di ottenere qualcosa, divorzia dalla vita, sembra notare Garrel; rimane nella vita di questa coppia votata al fallimento solo qualcosa con cui bearsi nelle spoglie aule universitarie, tra un rapporto consumato e uno programmato con uno sconosciuto. Visto che i discorsi si azzerano quando la vita delle studentesse è costituita dall’affermazione di sé attraverso la propria mercificazione: da chi posa per riviste pornografiche a chi (e Gilles apprezza divertito) mostra le sue parti intime in uno scambio di frivolezze.
Non si può divorziare dalla vita, quindi. Lo dimostra la maestosa sequenza di 3 minuti, in cui una serie di doppi primi piani ci mostra Arianne e Gilles che cercano invano un principe azzurro ad una festa, tra sguardi che si intrecciano e braccia che si cingono. Arianne è un personaggio che crede poco (Jeanne crede troppo) a ciò che gli altri le dicono: non crede nel proprio corpo (si guarda allo specchio più di ogni personaggio nel film) e ha bisogno di dimostrare a se stessa che sa attrarre, per mitigare – ma non vincere – un’irrequietezza causata dalla sfiducia verso se stessa (tradita dalla forte convinzione con cui parla di legami e rapporti con gli uomini), a volte anche annichilendo gli altri (l’altra splendida sequenza del ragazzo con la sigaretta che ci prova con lei). Garrel, pur creando personaggi pieni di sfaccettature, divorzia dal cinema contemporaneo credendo nel suo contrastato bianco e nero, altro dualismo che porta con sé sia una lunga serie di significati tra chiusura e apertura, sia la testimonianza di un cinema che discende da una lunghissima tradizione (1). I 75 minuti del film sono il chiaro segno di un Autore che ha maturato il dono della sintesi, che non cerca il capolavoro ma si addentra nelle sue tematiche ricorrenti aggiungendo sempre qualcosa di nuovo al discorso.
Un film di corpi e sentimenti: suonerà magari retorico, ma nell’era dei simulacri, degli effetti speciali o dell’obbligo del piano-sequenza, L’amant d’un jour è l’ennesimo film di Garrel sul privato (non ci interessa se autobiografico o meno) che diventa chiave di lettura del presente e di noi stessi. Un altro film, come appunto L’avenir, su come sia spesso impossibile applicare le proprie teorie alla pratica delle relazioni. E’ sempre un bell’argomento per un film, soprattutto se dietro c’è un gran docente di filosofia come Philippe Garrel. Del resto siamo fatti di carne e sangue, e non di pagine e inchiostro: nella vigente standardizzazione del cinema (e del pensiero) è necessario sentirselo ripetere.
(1) Si è parlato spesso della teatralità della messa in scena di Garrel. L’amant d’un jour mi sembra esuli da questo concetto spesso ribadito, nel suo svolgersi in situazioni e luoghi che non avrebbero ragion d’essere fuori dallo schermo.

voto_4

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Campano, suoi articoli sono apparsi tra gli altri su Segnocinema e Blow Up. Cinefilo folgorato tanto da Godard quanto da Mario Bava ma diffidente di chi limita il proprio pantheon autoriale al solo Occidente. Pensa ancora che la critica debba essere una voce nel dibattito costante tra opera e spettatore e non un diktat a sé stante. Ha un disgraziato debole per le liste.