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L’INNAMORATO, L’ARABO E LA PASSEGGIATRICE

L’INNAMORATO, L’ARABO E LA PASSEGGIATRICE

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Una commedia radicata nell’attualità.

Stroncato senza pietà da Positif, questo film è invece nella Top 10 dell’anno per i Cahiers: il vero scandalo non è il titolo italiano (scandaloso al massimo per il termine democristiano passeggiatrice al posto di prostituta, salvo poi ritrovarsi ad assistere a un cunnilingus a 8 minuti dall’inizio), ma che, della lista dei Cahiers, chissà quando vedremo Bowling Saturne della dimenticata Patrice Mazuy. Viens je t’emmène anche se con un anno di ritardo è quanto meno arrivato da noi, forte di 5000 biglietti staccati in Francia solo nel primo giorno di programmazione (non per il passaggio a Berlino dove non ha vinto nulla). Alain Guiraudie è noto da noi solo per Lo sconosciuto del lago ma quello non gli ha garantito la patente di autore verso il grande pubblico, al punto che può permettersi l’autosabotaggio della sua (non) identità girando una commedia radicata nell’attualità.

Tra le tendenze tematiche delineate all’ultimo festival di Cannes ci sono sicuramente la messa in crisi dei nouveau riche, sia sul piano individuale (Pacifiction) che su quello collettivo (Triangle of Sadness) o declinando le loro pulsioni in chiave horror (Infinity Pool, passato invece qualche mese fa a Berlino); e le difficoltà che richiede l’integrazione (As Bestas in un’apparente ottica di genere oppure il più accademico ma con spunti interessanti R.M.N.). Ci sembra indicativo che nessuno dei protagonisti dei film in questione sia a casa propria: i primi sono in vacanza, i secondi sono altrove con aspettative di vita migliori, facendo emergere tra le righe le tante disparità del sistema capitalistico. Se il primo tema viene trasformato in satira dai tempi di Lubitsch, come dimostra il penoso cinepanettone vincitore della Palma D’oro, non sembra possibile fare lo stesso del secondo. E’ in questo aspetto che sta la novità del film di Guiraudie, che sa ritagliarsi nell’ambito della commedia uno spazio di libertà impossibile in un film drammatico. La presenza della gag fa sì che si possa ridere e mostrare senza alcun alibi episodi pesanti come la violenza sulle donne o il razzismo del francese medio, peraltro in un contesto cittadino e non vacanziero (invertendo così le due tendenze). Viens trova la sua cifra nel procedere per addizione, senza allargare la narrazione con momenti distensivi, in cui una piccola situazione assume pian piano dimensioni incontrollabili (come in alcuni classici, per esempio Buffet Froid). Il metodo è giustificato dal fatto che Guiraudie non vuole inserirsi in un dibattito sull’attualità, ma usa il cinema come risposta ad alcune domande che lo lasciano perplesso: come da lui stesso dichiarato, l’ispirazione gli viene dai politici convinti che comprendere sia giustificare e da chi pensa che una cinquantenne non abbia più alcun erotismo.

Dal punto di vista della scrittura, uno degli spettri che si aggirano per i festival è sicuramente quello del rohmerismo, presente da Guillame Brac a Mikhaël Hers fino all’ipertrofico Hong Sang-soo. Ma in molti casi esso si traduce in un’imitazione feticistica (macchina a mano, fotografia scarna, triangoli sentimentali) senza andare al cuore del metodo, che ha più geometria e filosofia di una semplice mappa di amori mancati. Viens è ambientato nella stessa città, Clermont-Ferrand, in cui il maestro Rohmer girò il suo capolavoro massimo (La mia notte con Maud), e questo non può di certo essere visto come un omaggio o un calco, ma sembra avvicinarsi al modello più dei registi sopra citati. Se i ritorni e i sabotaggi inaspettati garantiscono l’impalcatura comica, soprattutto se il punto di partenza è la messa in scena di personaggi estremamente (ma volutamente) stereotipati che agiscono da puri e semplici vettori narrativi, i loro desideri donano al film un senso di predestinazione, come se dall’alto ci fosse qualche forza respingente. Come fa tutto questo a diventare metafora esemplare di come gli europei trattano l’emigrazione e la prostituzione in rapporto alla nostra fallace identità nazionale? Viens ci mostra che, per quanto ci affanniamo alla ricerca di qualcuno con cui stare (che sia una prostituta o un impiegato qualsiasi) e condividere il nostro malessere, saremo sempre rifiutati da quest’ultimo, perché destinati a qualcun’altro che ci accetterà a malincuore.

voto_4

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Campano, suoi articoli sono apparsi tra gli altri su Segnocinema e Blow Up. Cinefilo folgorato tanto da Godard quanto da Mario Bava ma diffidente di chi limita il proprio pantheon autoriale al solo Occidente. Pensa ancora che la critica debba essere una voce nel dibattito costante tra opera e spettatore e non un diktat a sé stante. Ha un disgraziato debole per le liste.