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Il confronto con il padre.

Si sbaglia in continuazione, e a volte occorrerebbe esserne felici. Da sempre, da più parti, Christian De Sica è stato visto con occhio ambivalente perchè nonostante le sue prove mai appannate come regista (da Faccione al Conte Max fino a Uomini Uomini Uomini) risultava vincente solo come interprete. Per noi, al contrario, il suo estro rimaneva sempre in secondo piano rispetto ad una carica umana che emergeva sì raramente – ad esempio in Compagni Di Scuola del cognato Verdone, o in Il Figlio Più Piccolo, o anche nel misconosciuto testa a testa con Depp nell’improponibile The Tourist, un confronto impari… vinto però da Christian – ma in maniera dirompente e travolgente.

Sono Solo Fantasmi è il film che spariglia le carte dimostrando quanto possa essere sorprendente il cinema, quanto un film sia davvero il frutto di una fortunata combinazione di fattori: e in questo caso quanto De Sica possa essere dotato dietro la macchina da presa se, appunto, tutti gli elementi sono al posto giusto. Napoli, ‘a paura e l’amarcord, tre componenti che solo una passione sfrenata può e sa amalgamare in un prodotto forse scombiccherato in alcune sue parti, ma sempre e comunque appassionato, e alla fine vincente.

De Sica poteva, con cento e passa film alle spalle da attore e quasi una decina da regista, rilassarsi e procedere d’inerzia: e invece si lancia improvvisamente in una di quelle imprese che, annunciate sui canali di comunicazione, innescano un muro di perplessità e critica a priori che avvelenano l’aria: una sorta di rifacimento all’italiana di Ghostbusters, in compagnia di Carlo Buccirosso e Gianmarco Tognazzi. Certo, la storia è scritta da Guaglianone e Menotti, e già qui la suggestione non era da poco: ripagata poi dalla visione del film, che parte con una scena horror inconsueta nel panorama italiano e una sigla di apertura firmata come tutta la colonna sonora da Andrea Farri, che ripropone senza scimmiottarle le sonorità tipiche degli anni ’80 popolati dai fantasmi di Reitman; seguita dal rap di Clementino che farcisce le avventure di tre “fratelli per caso” uniti davanti al popolo fantasmatico napoletano risvegliato dalla maiara, una strega della tradizione. Sono Solo Fantasmi è quindi, come si diceva sopra, quello che non ti aspetti né dall’interprete di tantissimi cinepanettoni né dal cinema italiano in generale, una ghost story in salsa mediterranea che riesce anche ad utilizzare Napoli come personaggio, riportandola a un gusto di pizza margherita lontano dal modernismo cupo di Gomorra.

Al centro sempre De Sica, il punto focale di un sottotesto metatestuale intensissimo: la macchina da presa fin dall’inizio lo inquadra, anzi lo (co)stringe in primissimi piani impietosi e a tratti scomodi, per poi spostarsi sui mostri di oggi (dalla tv urla Barbara D’Urso) e alla fine tornare sempre su di lui. Che decide, a 65 anni e passa, di mettere in campo la sua battaglia più difficile, affrontare l’elefante nella stanza: il confronto con il padre. Le strizzatine d’occhio alla sua comicità da grande pubblico, quella delle scorregge e del turpiloquio insistito, pur presenti, non sono più fastidiosa coazione a ripetere, bensì goliardico ritorno sul passato, per riderci un po’ su in maniera autoironica, e poi accantonarlo con disagio malinconico, per far di conto con il tempo, con il passato, con la vita insomma.

Per arrivare comunque a quel finale dove (oltre a mostrare una strega veramente paurosa in un mercato produttivo, quello italiano, dove il massimo dell’horror contemporaneo sembra essere Donato Carrisi) spinge alla commozione mentre ricorda la sequenza, meravigliosa quanto straziante, di un altro film dimenticato di Verdone (Al Lupo Al Lupo), e getta le armi di fronte alla famiglia, al disarmo dell’amore, alla forza della nostalgia, a quel cupio dissolvi esistenziale contro cui solo l’affetto resiste. Sono Solo Fantasmi dimostra che il confronto con il padre può esser pericoloso e far paura – ma è anche atto di salvezza, redenzione e perdono.

Che ad azzardare così con un mix tanto alieno sia un artista nato nel 1951 e reduce da Poveri Ma Ricchissimi dovrebbe far suonare un campanello d’allarme a produttori e a registi “ggiovani”: a noi fa piacere che finalmente chi non avrebbe scommesso due soldi abbia capito di che pasta d’attore sia fatto il figlio di Vittorio De Sica (diciamolo questo nome, che non fa più paura). Liberando non solo se stesso da un grossolano linciaggio mediatico. Ma forse anche il suo cuore da un peso che era diventato troppo grande da sopportare.

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Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.