ZOMBI CHILD

(Regia: Bertrand Bonello, 2019, con Louise Labeque, Wislanda Louimat, Adilé David)

ZOMBI CHILD

Haiti e un collegio parigino. Due ambientazioni completamente antitetiche, tre piani temporali tenuti in piedi con un montaggio alternato e gli indimenticabili volti di Fanny (Louise Labeque) e Mélissa (Wislanda Louimat), nonché svariati richiami cinefili: da Ho camminato con uno zombi a Suspiria, con uno spunto che ricorda Cannibal Ferox (l’avrà visto Bonello? Tocca chiederglielo). Per parlare di cosa? Del radicale cambiamento all’interno della struttura sociale attraverso l’antropologia che influenza il modo di percepire il proprio stare al mondo da parte delle (future) donne che si trovano in due contesti diversi: ad Haiti il misticismo è una cosa seria nonché un legame spirituale col passato secolare che serve a mantenere in vita una comunità, a Parigi è solo uno dei tanti modi per espiare una banale cotta adolescenziale in un tessuto sociale sfilacciato. E il misticismo nella metropoli futuribile è limitato al riunirsi di notte ad ascoltare la trap, demarcando cos’è “cool” e cos’è “étrange”. Il senso di tutto ciò, forse, è che le istituzioni, col loro parlare di Balzac e Napoleone, non riescono più a far presa sui giovani e ci si trova da soli e maldestri ad affrontare i propri demoni. Bonello pur non avendo il polso di un Guadagnino ha occhio ed è sempre stato affascinato dall’universo femminile (si pensi a L’apollonide e all’avanguardistico Sarah Winchester). Come sempre sfiora il ridicolo (musiche comprese) e dà l’idea di un cinefilo onnivoro che crede troppo in ciò che gira. Ma, quanto meno, non fa quadrare i conti lasciando aperti affascinanti buchi tra le immagini (le collegiali sono streghe? Fanny è un demone? E il personaggio di Mélissa?). Anche se spesso sembra non andare a parare da nessuna parte, ispira simpatia.(dv)

voto_3