Il ritorno di un maestro dell’animazione.
Le vie della distribuzione italiana sono sempre più tortuose e imperscrutabili. Era da oltre dieci anni, esattamente dai tempi di Azur e Asmar uscito nel 2006, che un film di Ocelot non arrivava nei nostri cinema. Eppure il maestro dell’animazione francese non è stato certo con le mani in mano, dal 2010 a oggi ha realizzato una serie televisiva e tre lungometraggi, compreso il terzo capitolo delle avventure di Kirikù, il suo personaggio più celebre, abbastanza popolare anche da noi. Alla luce di tutto ciò l’uscita di Dilili a Parigi, il suo nuovo lavoro premiato come miglior film d’animazione ai César (merito della Movies Inspired), risulta sorprendente e inaspettata. Chissà che un giorno, si spera non troppo lontano, qualche altro distributore illuminato non si decida a recuperare i titoli inediti di Ocelot, magari in un bel cofanetto per l’home video in grado di far felice il pubblico d’ogni età.
Nella Parigi d’inizio Novecento la piccola Dilili, giunta in Francia dalla Nuova Caledonia, e il suo amico Orel, facchino su triciclo, si trovano a indagare sulla setta dei “maschi maestri”, un’occulta organizzazione che rapisce donne e bambine. Durante le sue ricerche la piccola canaca incontra e riceve l’aiuto di donne e uomini straordinari come Emma Calvé, Marie Curie, Toulouse-Lautrec, Marcel Proust e Camille Claudel.
Un magnifico omaggio a Parigi, restituita e riprodotta da Ocelot con un fotorealismo impressionante, e alla Belle Époque, l’epoca d’oro della capitale francese e di quelle europee, segnata da un gran fermento artistico e culturale e da importanti progressi scientifici e tecnologici. In questa fiaba al femminile tenera e delicata, contraddistinta da un’animazione elegante e raffinata, il regista francese fa costante riferimento al nostro presente, all’arte nel suo assieme – pittura, musica, danza – e alla cultura in generale, intese come strumenti di libertà, progresso e aggregazione: contrapponendole all’oscurantismo di sette e organizzazioni fanatiche e violente dedite alla sottomissione della donna e dei più deboli.
Notevole l’incipit, che sembra ambientato in un villaggio africano, esplicito riferimento a Kirikù, per poi svelare il trucco, con l’inquadratura che sale e si allarga fino a inquadrare la Torre Eiffel, facendoci così capire che si trattava solo di una rappresentazione all’interno di un parco parigino.
Non mancano le stoccate alla società occidentale, al razzismo da cui è afflitta, agli stereotipi e ai preconcetti che inducono a guardare con disprezzo e con un insulso e immotivato senso di superiorità chi ha un colore della pelle diverso dal nostro. Dopo averci regalato storie ambientate in giro per il mondo, in contesti esotici e suggestivi, Ocelot torna a casa, nel cuore dell’Europa, vista però attraverso gli occhi di una bambina straniera indomita e curiosa, intelligente e volitiva. Una bimba coraggiosa, dai modi gentili e cortesi, costretta ad affrontare e fronteggiare la violenza di uomini mostruosi. La bravura e la profonda umanità del maestro francese si vedono anche da come riesce a mettere in scena i momenti più drammatici vissuti dalla piccola e dalle altre bambine rapite dalla setta senza urtare la sensibilità degli spettatori più piccoli. Nonostante i temi trattati siano di forte impatto emotivo, Dilili a Parigi riesce a essere lieve e sa rivolgersi a tutti.
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