THE NICE GUYS

(Regia: Shane Black, 2016, con Russell Crowe, Ryan Gosling, Angourie Rice, Matt Bomer, Kim Basinger)

THE NICE GUYS

Nella Los Angeles del 1977 una coppia di investigatori privati mezzi sbandati (Russell Crowe e Ryan Gosling) incrocia la strada nella ricerca di una ragazza scomparsa. Partendo dall’apparente suicidio di una pornostar arriveranno a scoperchiare un vaso di Pandora di corruzione e violenza nelle alte cerchie della politica californiana. Il terzo film da regista dello sceneggiatore Shane Black (con i suoi lavori, tra cui ricordiamo i primi due Arma Letale e L’ultimo Boyscout, ha codificato un genere) nel bene e nel male può essere annoverato all’interno di un percorso autoriale di destrutturazione dell’action contemporaneo alla pari dei lavori che lo hanno preceduto (Kiss Kiss Bang Bang, ma anche Iron Man 3), ma incappa negli errori che appesantivano le altre regie. La sfrontatezza degli script di Black ha bisogno di una mano sicura dietro la macchina da presa per incanalare gli spunti più interessanti, limandone eccessi e auto-referenzialità, sapendo guardare – anche – alla sintonia con la platea. Senza i vari Donner, Scott, Harlin ecc. a guidarlo, Black non ha freni e sembra troppo innamorato di se stesso e delle presunta anticonvenzionalità del proprio lavoro per appassionare davvero. Turpiloquio, uno spinto spirito amorale nella rappresentazione della violenza “collaterale”, qualche gag ben piazzata, molti dialoghi che girano a vuoto (le varie battute su Hitler, l’aneddoto su Nixon…), un duo di divi in vena di prendersi in giro: tutti gli ingredienti sembrano calcolati al bilancino per creare un midcult “a priori” di cui sfugge il senso. Un intrigo da neo noir, in linea con quello di molti classici del genere, che più si fa ingarbugliato meno conta ai fini del risultato complessivo, e una serie di tematiche ricorrenti nel cinema di Black (la misoginia di fondo, l’industria del cinema per adulti, lo schema da buddy movie, la rappresentazione di un mondo infantile disincantato e più intelligente di quello adulto, i richiami alla festività natalizia) ne fanno a tutti gli effetti un oggetto anomalo e “personale” all’interno del cinema mainstream, ma la sensazione di saturazione arriva presto, e il tutto si riduce ad un giochino dove i realizzatori sembrano divertirsi molto più del pubblico in sala (come provano i magrissimi incassi in patria). (ap)

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