LADY MACBETH
(Regia: William Oldroyd, 2016, con Florence Pugh, Christopher Fairbank, Cosmo Jarvis, Bill Fellows)
Lady Macbeth è l’opera prima di William Oldroyd, ma a dispetto di quanto si può pensare non c’entra con l’opera scespiriana bensì si ispira al romanzo russo di Leskov: muscolare capolavoro di cattiveria al femminile ed entomologico pamphlet su come si diventa una dark lady, geograficamente immerso nella calda campagna inglese di fine diciannovesimo secolo, il film racconta di Katherine e di come viene letteralmente venduta dal padre non ancora maggiorenne al figlio di un ricco possidente di mezza età. Senza amore, sesso, famiglia, oppressa da obblighi sociali e dall’assenza del marito (probabilmente impotente, sicuramente violento, vistosamente disinteressato alla giovane moglie), la protagonista subisce in silenzio finchè la frustrazione diventa prima passione – proibita -, poi amore disperato, infine morte. Lady Macbeth apre e chiude sullo sguardo della splendida Florence Pugh: prima seminascosto da un velo, poi al centro di un inesorabile carrello in avanti, dritto in camera, teso e raggelato da pulsioni nascoste e frementi. Ma con interessante spiazzamento, Oldroyd non sembra interessato alle ramificazioni psicologiche del florilegio di violenza e omicidi in cui sfocia la sua tragedia, piuttosto inquadra la crescita della ragazza in negativo, la vira in nero inseguendo quell’istante in cui da vittima si diventa carnefice. Dentro diventa allora fuori: il mare si fa burrasca, il cielo promette tempesta, la terra è spazzata dal vento, e mentre i due amanti godono in silenzio e la domestica che sa(peva) troppo si chiude in un bergmaniano mutismo, la morte scende lenta e senza far rumore dietro una porta chiusa. Lady Macbeth non è, come potrebbe sembrare, amour fou: è istinto radicalizzato, è passione bestiale, è lo scavo in quel nucleo oscuro e ribollente che schiuma all’interno di ognuno di noi, pronto a balzare fuori e azzannare alla gola. (glf)
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