CAPTIVE STATE

(Regia: Rupert Wyatt, 2019, con John Goodman, Ashton Sanders, Vera Farmiga, Kevin Dunn, Jonathan Majors)

CAPTIVE STATE

Gli alieni esistono, sono arrivati e hanno il controllo: con la collaborazione degli esseri umani. Pochi resistono in clandestinità, nascosti dietro organizzazioni come quella che il commissario Mulligan (John Goodman) tenta di individuare e abbattere. Detta così sembra un ordinario sci-fi con implicazioni libertarie, mentre il quarto film di Rupert Wyatt (già regista dei relativamente poco convincenti Prison Escape, L’alba del pianeta delle scimmie e The Gambler) non è privo di ambizioni più elevate; le quali però restano imprigionate (appunto) tra un clima oppressivo debitore del plumbeo pessimismo orwelliano di 1984, uno spunto di partenza che ricorda un District 9 “al contrario” e una trama che a tratti suona confusionaria e involuta, senza dimenticare l’occhio alla serie B più recente. Quasi sempre troppo o troppo poco, forse, per un film come questo, che certo non farà grandi incassi: e infatti l’interesse va e viene e le riflessioni di fondo risultano sfocate, ammesso che davvero le si voglia (in)seguire e non si getti la spugna dopo mezz’ora. In tempi grami come gli attuali, però, Captive State è comunque un tentativo da non trascurare. (dz)

voto_3