SIBERIA
(Regia: Abel Ferrara, 2020, con Willem Dafoe, Dounia Sichov, Simon McBurney, Cristina Chiriac)
Clint (Willem Dafoe, sempre più alter ego del regista) si è ritirato tra i ghiacci, in compagnia dei suoi pensieri e di pochi avventori: ma non può sfuggire ai suoi incubi e ai pensieri ricorrenti di tutta una vita. È difficile voler male ad Abel Ferrara che a quasi 70 anni continua a girare come un ossesso (è già in rampa di lancio un altro prodotto documentaristico, Sportin’ Life, che sarà a Venezia). Ma con Siberia (che grazie alla penuria estiva è finito in diversi multiplex, con non molta fortuna presumo) la scrittura prende il sopravvento e fa assomigliare il film ad una versione un po’ accartocciata e irrisolta del suo passato cinema maledettistico e non di rado ribollente di demoni interiori: tra autoflagellazioni, carne, sangue, rapporto con la maternità, il padre, la madre, la compagna, la sensazione è che l’autobiografismo del precedente Tommaso (2019, passato al Torino Film Festival) fosse più diretto e sentito. E che questo cinema fatto di primi piani, sofferenza, luci e ombre, gli sia riuscito meglio altrove. Girato parzialmente tra le montagne dell’Alto Adige e prodotto da Vivo film con Rai Cinema, ma i paesaggi innevati non prendono se non in pochi momenti il sopravvento. (dz)
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