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L’omertà della Chiesa cattolica.

François Ozon, uno degli autori più apprezzati e più prolifici del cinema francese contemporaneo, si mette al servizio di una storia vera, il caso Preynat-Barbarin, che negli ultimi anni ha suscitato grande sdegno e clamore presso l’opinione pubblica transalpina. A Lione negli anni ’90 padre Preynat ha molestato e abusato diversi bambini che frequentavano la sua parrocchia e i campi dei boyscout. Le autorità ecclesiastiche, pur consapevoli della malattia del sacerdote e dei casi di abuso, non hanno preso alcun provvedimento nei suoi confronti e hanno continuato a tenerlo a stretto contatto coi bambini. Divenuti adulti alcuni di loro hanno trovato la forza e il coraggio di denunciare le molestie subite in tenera età e di formare una associazione, La Parola Liberata, per costituirsi in giudizio legale e far crollare il muro di gomma eretto dal cardinale Barbarin, arcivescovo di Lione.

Grazie a Dio, Orso d’argento all’ultima edizione della Berlinale, è un film di denuncia e di solido impegno civile. Ozon rinuncia ad alcuni tratti peculiari del suo modo di fare cinema per mettersi al servizio della causa e realizzare un’opera corale dalla parte delle vittime e delle loro famiglie. Il suo sguardo – rispettoso, partecipe ed empatico – si focalizza principalmente su tre personaggi, Alexandre, François ed Emmanuel, abusati ripetutamente dal sacerdote pedofilo quando erano dei piccoli boyscout. Il primo è divenuto un uomo in carriera con una prole numerosa e una moglie amorevole sempre al suo fianco. Il trauma subito da bambino non lo ha allontanato dalla chiesa e dalla fede cattolica, al contrario di François che se ne è distaccato e ha potuto contare sull’aiuto e sull’affetto dei suoi genitori e sull’amore della moglie e delle due figlie. Emmanuel è il più debole e il più traumatizzato dei tre, non si è mai ripreso dagli abusi subiti e non è stato in grado di costruirsi una vita stabile ed equilibrata a livello professionale e affettivo.

Ozon, autore in prima persona della sceneggiatura, denuncia senza indugi le colpe della Chiesa cattolica e delle sue gerarchie più alte, che spesso hanno coperto e occultato i comportamenti malati e deviati di sacerdoti che, invece di essere denunciati e costretti alle dimissioni dallo stato clericale, hanno continuato a svolgere le loro attività a stretto contatto con bambini e ragazzi, di cui hanno distrutto e rovinato le vite segnandoli in profondità.

In un primo momento il regista francese avrebbe voluto realizzare un documentario sulla vicenda ma davanti alla delusione delle vittime, desiderose che ne venisse realizzato un film che potesse suscitare una grande eco a livello mediatico e ottenere la più alta visibilità possibile presso il pubblico francese, ha deciso di cambiare strada e trarne un’opera di finzione ispirata ai fatti reali. Il suo obbiettivo e quello delle vittime e delle loro famiglie non era realizzare un film contro la chiesa ma per la chiesa, per cercare di combattere un sistema omertoso che la attanaglia e la consuma da anni e contribuire al cambiamento e alla rifondazione delle istituzioni religiose, facendo in modo che questi gravi e frequenti casi di abuso e di comportamenti sessuali malati e deviati non si ripetano mai più al suo interno.

Grazie a Dio non vuole scioccare lo spettatore, evita saggiamente di mostrare gli abusi, si ferma sempre un attimo prima che avvengano, preferisce stimolare pensieri e riflessioni, dar vita a un dibattito costruttivo. Rinuncia addirittura a dipingere come un mostro padre Preynat, che appare per quel che è, un uomo malato e disturbato che ha sempre ammesso le sue colpe e le sue devianze davanti ai superiori i quali, anziché prendere provvedimenti, lo hanno lasciato colpevolmente a contatto con i bambini, facendo in modo che le sue vittime aumentassero nel corso degli anni.

Uno degli aspetti più interessanti dell’opera di Ozon, che come detto in precedenza rinuncia qui agli elementi più liberi e onirici della sua poetica, è la struttura tripartita dello script che consente al regista di passare da una storia a un’altra e da un personaggio all’altro per mostrare al pubblico i differenti modi di ognuno di loro di vivere ed elaborare il trauma subito in tenera età. Menzione speciale per i tre protagonisti, in particolare per Denis Ménochet che aveva già realizzato un film con Ozon (Nella Casa, 2012) e per Swann Arlaud, alla sua prima collaborazione col regista e sceneggiatore francese.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.