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Un coming of age emozionante e coinvolgente.

Walter, 13 anni, ha da poco perso il padre, morto a causa di un incidente sul lavoro. La scuola è finita, l’estate è appena iniziata. Nel suo girovagare in bicicletta per il litorale romano, Walter s’imbatte in una villa abbandonata con una gigantesca e torbida piscina che custodisce al suo interno un segreto stupefacente. Per Walter, alle prese con un lutto difficile da elaborare, sarà l’inizio di un’avventura incredibile.

L’esordio nel lungo di Davide Gentile, classe 1985, regista italiano che ha scelto come base operativa Londra, dove si è fatto le ossa nel mondo della pubblicità e dove ha fondato una propria società di produzione (la Banjo Eyes Films) con cui nel 2016 ha realizzato Food for Thought, cortometraggio pluripremiato che lo ha fatto conoscere a livello internazionale, è una piacevolissima sorpresa per il nostro cinema. O forse, viste le ottime premesse, sarebbe più appropriato definirlo per quello che è, ovvero la conferma di un talento notevole che dopo un percorso graduale, contraddistinto da esperienze di diverso tipo, alle soglie dei quarant’anni si dimostra pronto e maturo per fare un balzo in avanti e approdare al linguaggio cinematografico. Basterebbero i primi minuti di Denti da squalo, al cinema dall’8 giugno distribuito da Lucky Red che lo ha anche prodotto insieme alla Goon Films di Gabriele Mainetti, per comprendere che siamo in presenza di un potenziale nuovo autore di cui potremmo sentire parlare a lungo negli anni a venire. L’incipit del film è affidato quasi esclusivamente alle immagini, accompagnate dalle belle musiche composte da Michele Braga insieme a Mainetti come già accaduto per Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, senza sostenersi o appoggiarsi a parole e dialoghi. La cura voluta e ricercata delle ambientazioni e la fascinazione  esercitata dalle immagini, in grado di costruire in breve tempo un mondo e un immaginario evocativo e suggestivo, sono elementi che saltano subito agli occhi e contribuiscono a differenziare Denti da squalo dalla stragrande maggioranza dei film italiani prodotti negli ultimi anni. Gentile, nell’adattare per il grande schermo la sceneggiatura scritta a quattro mani da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, si dimostra anche un abile narratore e un ottimo direttore d’interpreti, a partire dall’esordiente Tiziano Menichelli, il giovanissimo e stupefacente protagonista del film. Denti da squalo è tutto sulle sue spalle, nonostante la presenza nel cast di interpreti di richiamo del nostro cinema come Edoardo Pesce e Claudio Santamaria, impegnati qui in piccoli ma importanti ruoli per gli sviluppi narrativi del film. L’opera d’esordio di Gentile, supervisionata da Mainetti impegnato per la prima volta a produrre un film diretto da altri, è strutturata come un coming of age, col protagonista alle prese con un momento difficile e complicato della sua giovane vita, sconvolta da una perdita traumatica che prima lo porta a isolarsi nel suo dolore e poi a seguire una sorta di educazione criminale, sulla scia dei trascorsi giovanili del padre che si era poi allontanato dalla cattiva strada per mettere su famiglia. La scoperta, solo apparentemente casuale, della villa e del minaccioso squalo, “prigioniero” da anni all’interno dell’enorme piscina, è l’inizio di un percorso accidentato di crescita e formazione, di incontri destinati a trasformarsi in solide amicizie (quello con Carlo, ragazzo poco più grande di lui interpretato dall’esordiente Stefano Rosci), di presenze fantasmatiche (il padre Antonio tutt’altro che morto nella memoria di Walter) e di cattivi maestri da cui prendere le distanze e affrancarsi, seguendo con forza e coraggio il proprio istinto e la propria indole. Denti da squalo è una favola emozionante, ben calata nel contesto sociale italiano a cui appartiene ma in grado di dialogare col miglior cinema d’evasione per ragazzi prodotto in America negli anni ‘80. Un romanzo di formazione stratificato e toccante particolarmente adatto agli spettatori più giovani, solitamente esterofili e poco attratti dai titoli di casa nostra. L’augurio e la speranza è che Denti da squalo contribuisca a riportare in sala le giovani generazioni grazie a una storia efficace e coinvolgente, capace di risvegliare anche nello spettatore adulto il bambino che è in lui (e che non si dovrebbe mai dimenticare d’essere stati), soprattutto quando ci si accomoda in sala in cerca dello stupore e della meraviglia scaturiti dalla magia del cinema.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.