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I supereroi postmoderni di Shyamalan.

Con Glass, l’atteso sequel di Unbreakable e Split, M. Night Shyamalan porta a compimento la sua saga teorica sui supereroi. Una trilogia sui generis, divenuta tale in corso d’opera, non certo pianificata diciannove anni fa durante la lavorazione di Unbreakable, uno dei suoi film più belli e importanti, all’epoca sottostimato e incompreso dal pubblico, rimasto deluso perché si aspettava qualcosa di simile a The Sixth Sense (uscito l’anno prima, tuttora il suo più grande successo commerciale, da molti ritenuto erroneamente il suo primo film dal momento che i primi due lunghi sono abbastanza sconosciuti). L’idea di farne una trilogia piuttosto libera e anomala è molto più recente, risale a pochi anni fa, con Shyamalan impegnato nella scrittura e nella realizzazione di Split, un thriller/horror incentrato su uno schizofrenico dalle personalità multiple (1) che solo nello spiazzante e sorprendente twist finale, uno dei marchi di fabbrica del regista americano di origini indiane, si riallacciava, in modo suggestivo ma un po’ forzato, al primo film della “saga” supereroistica. Glass riparte laddove Split era finito, col personaggio – o meglio i personaggi – interpretato da James McAvoy alle prese con altre ragazze rapite e nascoste da Kevin in una fabbrica dismessa e David Dunn (Bruce Willis) impegnato a dargli la caccia. Sono tanti e continui i rimandi e i riferimenti ai due titoli precedenti, soprattutto a Unbreakable, da cui vengono riprese e inserite alcune scene, compreso un estratto della bella sequenza con l’uomo di vetro ancora bambino al luna park: scena che era stata girata diciannove anni fa ma scartata al montaggio finale e finita direttamente negli extra del dvd (se lo avete a portata di mano andate a vederla per intero). (2)

Shyamalan, da buon estimatore e moderno discepolo del cinema di Alfred Hitchcock, si ritaglia come al solito un immancabile cameo in cui si diverte a interagire con Bruce Willis e il figlio, nuovamente interpretato da Spencer Treat Clark, ancora bambino ai tempi di Unbreakable. In Glass ritroviamo il magnetico e machiavellico Elijah Price, l’uomo di vetro, qui auto ribattezzatosi Mr. Glass, finito dietro le sbarre di un istituto psichiatrico di massima sicurezza dopo gli eventi narrati nel primo film e qui raggiunto dagli altri due cosiddetti supereroi di questo universo filmico costruito e architettato da Shyamalan negli ultimi vent’anni  e inaugurato quando i cinecomics erano ancora una merce rarissima, non certo inflazionata e usurata come accade oggigiorno dai continui titoli sfornati da Marvel e DC Comics. A differenza di Split, Glass riprende il discorso critico e teorico sui comics inaugurato in Unbreakable, riportando al centro la figura chiave dell’uomo dalle ossa fragili come il vetro, ossessionato dai fumetti e dai loro segnali e corrispondenze nel mondo reale.

Non privo di difetti, un po’ fragile e sfilacciato sul finale, Glass è destinato a far discutere e a dividere il pubblico e la critica, come accade quasi sempre con l’uscita di un nuovo lavoro del regista cresciuto in Pennsylvania. Più drammatico, dolente e concettuale che adrenalinico e spettacolare (come invece ci ha abituato il Marvel Universe), predilige l’analisi e l’introspezione alla baraonda caotica dei cinecomics del nuovo millennio. Chi è cresciuto cibandosi e nutrendosi di questi ultimi rimarrà deluso dal cupo e crudo finale, ben piantato per terra, in una fredda, sporca e lancinante pozza d’acqua, che prima alimenta e poi disattende intenzionalmente le attese del pubblico. Per tutti gli altri rimane la consapevolezza di aver ritrovato un autore che qualche anno fa, dopo due film deludenti, dal budget faraonico e quasi estranei alla sua poetica come L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, sembrava essersi smarrito per sempre e che invece ha saputo rialzarsi da terra grazie anche al felice connubio artistico con la Blumhouse, la quale lo ha rilanciato prima con The Visit e poi con Split, riportandolo su tematiche e riflessioni più inclini alla sua cifra stilistica e su generi cinematografici più consoni alle sue attitudini e inclinazioni. Glass non si concede alcuna scena al termine dei bei titoli di coda, dove scorrono immagini riflesse su pezzi di vetro che racchiudono l’intera trilogia, così come evita il ricorso a effetti speciali costosi e mirabolanti. Del resto, come sanno bene gli amanti del cinema di Shyamalan, nei suoi film l’effetto speciale più sbalorditivo e sorprendente non si offre allo sguardo pigro e intorpidito del pubblico odierno ma è da scovare e ricercarsi nelle invenzioni e nei twist dei suoi script.

(1) Ispirato alla figura di Billy Milligan, che a fine anni ’70 sconvolse l’opinione pubblica americana rapendo e violentando tre studentesse per poi essere assolto per infermità mentale.

(2) La scena, introdotta da un breve commento di Shyamalan, è contenuta negli extra del secondo disco della Collector’s Edition di Unbreakable.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.