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Le solitudini che si incontrano.

C’è un certo tipo di cinema, in Itala, che fino a qualche anno fa sembrava dover esplodere e invece oggi sembra introflesso su sé stesso: è quel cinema minimalista che lentamente è stato contaminato da tanti autori che hanno sostituito la delicatezza del tocco con l’arroganza di chi ancora non possiede una tale padronanza del linguaggio e della sintassi da raccontare sullo schermo piccole storie, che sono alla fine prive di alcun appeal.

È quindi ancora più benvenuto I Limoni D’Inverno, opera seconda di Caterina Carone che si porta dietro dall’esordio l’inverno e Christian De Sica come protagonista: un inverno che è una stagione emotiva, e un De Sica che sembra fare la quadra con il cinema e la sua vocazione d’interprete.

La storia è praticamente cucita addosso ai due protagonisti – oltre lui, Teresa Saponangelo -: e la capacità della Carone sta nel tenere insieme tutto con lucidità ed eleganza senza mai abbassare il ritmo. Perché anche la fotografia di Daniele Ciprì e le musiche di Nicola Piovani contribuiscono a restituire un’opera splendente di luce accecante, che non alza mai la voce e riesce a farsi sentire in profondità, che gioca con le sue componenti (recitazione, apparato visivo, suono) tenendole in sottrazione eppure riuscendo ad esaltarle al massimo.

I Limoni d’Inverno è un film sulle solitudini che si incontrano e mostrano la fragilità dei rapporti umani: semplice e lineare, il film ricorda le vette più alte raggiunte da un altro piceno illustre, il Giuseppe Piccioni di Fuori Dal Mondo e Questi Giorni, e si srotola con levità sui sorrisi e sui volti della Saponangelo e di De Sica. Entrambi una conferma: ma se il cinema ci ha già abituato alla luminosa bravura di lei, è su De Sica che vanno puntati i riflettori perché si gioca la carriera – ovviamente vincendo su tutta la linea – voltando pagina, facendo dimenticare sia gli eccessi comici pur se usati sempre con enorme professionalità ma non sempre centrati, sia le sue precedenti prove serie più o meno drammatiche. È stato Pupi Avati – con Il Figlio Più Piccolo - a renderlo protagonista con un ruolo emotivamente coinvolgente, ma solo con questo film l’attore sembra sciogliere completamente la sua precedente maschera (nella citata opera prima della Carone, Fraulein – Un Racconto d’Inverno, non si risparmiava in battute; ne I Limoni dice apertamente “ho riso anche troppo nella mia vita”) e indossarne un’altra, anche con più convinzione, mostrando una misura interpretativa letteralmente fuori dal comune. La scrittura del film (della Carone insieme a Mario Luridiana, Remo Tebaldi, Alessio Galbiati e soprattutto Anna Pavignano) è così sottile e preziosa da far sì che l’interiorità dei personaggi venga fuori completamente ma mai esplicitamente, lasciandola emergere dagli sguardi e dai silenzi; una scrittura giocata sulle sfumature e sull’assenza, tanto da riecheggiare il miglior cinema francese, dai raggi di Rohmer ai cuori d’inverno di Sautet.

E tanto da puntellare il racconto con una frase di Tolstoj, “per essere felici bisogna credere anzitutto nella possibilità di esserlo”, ma attraverso i percorsi dei due personaggi che viaggiano in senso inverso l’uno dall’altro. E in un modo così intenso, familiare, vicino, da rendere il finale doloroso per chi guarda, per quell’allontanamento frutto di una mancata capacità di elaborare il dolore. Di ieri e di domani, ma soprattutto nostro.

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Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.