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Paterson foto4

…per tacer del cane!

Paterson vive a Paterson nel New Jersey, guida l’autobus numero 23 del comune di Paterson con sopra scritto solo e semplicemente “Paterson”, adora un poeta (William Carlos Williams) vissuto a Paterson, ha amici che pensano solo alla città di Paterson e ai suoi abitanti, come il barista da cui finisce immancabilmente le serate a bere una birra. Per ispirarsi, dice Paterson, dato che le poesie che scrive hanno tutte a oggetto le piccole cose e lui si sente felice guardando il fondo di un boccale di birra. Un’esistenza trasognata e schiva, quella del giovane, la cui fidanzata Laura è una sorta di suo doppio femminile, più colorata e buffa ma allo stesso modo persa in stravaganti fantasticherie, tutta intenta com’è a dipingere, decorare, addobbare qualsiasi cosa le capiti a tiro, specialmente con i prediletti colori bianco e nero. E il Tempo, la quarta dimensione di una delle sue poesie, sembra averlo avvolto nelle sue spire: Paterson si alza tutte le mattine con uno sguardo all’orologio, controlla gli orari del suo autobus (ma le lancette girano veloci in sovraimpressione mentre la sua giornata scorre), le giornate sono spesso tutte uguali e cadenzate anche per quanto concerne i suoi incontri, come il collega perennemente scontento della sua vita e incavolato col mondo.
Nella sua vita però c’è un intruso. Laura gli dice addirittura che è il suo “papà”, ma qui ci deve essere qualcosa che non va. E tuttavia ogni santa sera Paterson deve far fare a Marvin il suo giretto, come esigenze canine comandano. Solo che lui, Paterson, non trova molto simpatico il suo “figliolo” bulldog. Che un giorno combina un guaio che gli manda in tilt l’esistenza, facendo sì che rimetta in discussione la sua identità, quello che egli credeva confusamente di essere nel suo (piccolo) mondo.

Lo sguardo di Jim Jarmusch è talmente libero, eclettico e soave che il cineasta americano può permettersi di fare un piccolo e delizioso film su un soggetto bislacco, che in altre mani diventerebbe certo un’orrida commedia canina (nel senso che ci sarebbe un quadrupede che abbaia e fa pasticci, scatenando le grasse risate degli spettatori). Il regista di Dead Man tra le righe sussurra più di quanto questa sbilenca commedia morale dica letteralmente. Paterson, il film, non è cioè un apologo su ciò che rende preziosa la vita, la poesia nel caso del protagonista, che è tanto preso e assorto nella scrittura che le parole impresse sullo schermo appaiono a tratti più concrete della sua stessa esistenza. È invece un’opera sull’irruzione nella quotidianità del “diverso” che quell’esistenza la rende vera e forse, finalmente, possibile. Il giovane poeta gira in tondo, incrocia doppi (la ragazzina che scrive poesie simili alle sue), non si decide mai a fare un passo per far conoscere al mondo il suo lavoro artistico; al massimo riesce a disarmare la mano del disperato spasimante di una ragazza che sta per compiere un gesto insano, salvo scoprire che questi, come gli inetti della letteratura novecentesca, non sarebbe neppure stato capace di togliersi la vita. Paterson, il poeta, rimane insomma nel suo brodo, ciondola come fanno tutti intorno a lui, ma non conclude mai niente. Fino a quando Marvin non lo sveglia. Con l’istinto irrefrenabile che è in lui, Marvin manda a catafascio il deambulare inconcludente del suo padrone. Lo costringe a interrogarsi e, in un finale già memorabile, ad avere per una volta un incontro alieno, giusto, magari produttivo. Marvin diventa protagonista (Nellie, la cagnolina che lo “interpreta” ha una dedica alla memoria sui titoli di coda, ma meriterebbe il nome in grande sui credits a inizio film) ed è il simbolo della rivincita del dissonante, dell’imprevedibile e persino del corpo della realtà contro la fumosità delle teorie e delle romanticherie senza costrutto: tra le quali si annoverano quelle rivelate dagli spassosi dialoghi dei passeggeri dell’autobus numero 23, dolcemente persi nella paura di agire e di vivere i loro desideri. Al di fuori di ogni cinefilia, Jarmusch conferma, ancora una volta, di essere molte spanne sopra i vari autori di quel cinema indie contemporaneo di cui è stato uno dei precursori.

voto_5

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.