Sign In

Lost Password

Sign In

DOCTOR STRANGE NEL MULTIVERSO DELLA FOLLIA

DOCTOR STRANGE NEL MULTIVERSO DELLA FOLLIA

DS foto3

Infinite storie, infiniti universi.

Non c’è pace per gli eroi: aver aiutato Peter Parker con i suoi problemi d’identità e altro (vedi Spiderman: No Way Home, di Jon Watts) ha fatto sì che il Doctor Strange abbia forzato le leggi che regolano il multiverso (concetto introdotto nella serie gioiello Loki). Ma nel multiverso stesso qualcosa non va: i sogni di Stephen Strange sono visioni di altri mondi, e proprio da uno di questi arriva America Chavez, viaggiatrice intradimensionale, e per aiutarla l’ex maestro delle arti mistiche è costretto a chiedere aiuto a Wanda Maximoff (a riposo dopo i drammi di WandaVision, il serial che ha rivoluzionato la tv). Non l’avesse mai fatto…

Insomma, bastano due righe dell’intricatissima storia per far capire che arrivati al ventottesimo film dell’MCU l’edificio costruito è ormai un grattacielo. Così come nei fumetti, le trame labirintiche della mitologia Marvel si diramano in mille direzioni, tante quante sono le linee narrative che possono/stanno prendendo i molteplici progetti dei Marvel Studios. Multiverse Of Madness continua a mostrarsi per come sono i prodotti della “fase quattro”, ovvero una specie di perenne crossover tra eroi che chiude una porta e apre un portone; perché se giunge a termine (?) la storia che vede Scarlett Witch sull’orlo di una crisi di nervi, tra le pieghe delle sequenze del film Kevin Feige lancia segnali che si moltiplicano e si rifrangeranno in altre serie e altri film. Ma così come ormai sembra essere diventata la norma, normale non è la compattezza con cui queste produzioni blockbuster tengono insieme tutto senza sembrare dei carrozzoni, anzi finendo per arricchirsi progressivamente di significati, vezzi autoriali, piccoli segnali di un nuovo capitolo del racconto audiovisivo.

Il secondo film dedicato a Strange è prima di tutto una riflessione su cosa si è disposti a fare per essere felici, una piega teorica già ampiamente dibattuta in WandaVision: che qui si va articolando diversamente, perché il concetto del multiverso porta direttamente alla circostanza per cui infinite possibilità creano infiniti rimpianti e infiniti dolori, memorie di occasioni perdute. Presupposti di una tragedia dal sapore greco, con tanto di sacrificio finale, che non poteva che essere la conclusione (almeno per ora) del percorso più emozionante e intenso dei personaggi dell’MCU, ovvero Scarlet Witch, interpretata con rara efficacia da Elizabeth Olsen. Alle prese con il vuoto incolmabile del suo cuore, annegata e persa nelle vertigini dei suoi sentimenti.

Uno spartito su cui erano pronti a scrivere lo sceneggiatore Michael Waldron ma soprattutto il regista Sam Raimi. Che non contento di aver riscritto la storia dell’horror con Evil Dead nel 1981, di aver aperto un vaso di Pandora nel 2002 con il primissimo Spider-Man, di aver girato uno dei più bei cinecomic di sempre nel 2004 (Spider-Man 2), prende le redini del film e lo trasforma in un’opera anarchica e folle, squilibrata ma con una personalità strabordante, tentacolare come alcuni mostri che mette in scena. Artefice di una delle scene più belle e visionarie che abbiamo mai visto e vedremo in un horror (la battaglia tra i due stregoni a suon di note d’energia), Raimi sembrava non vedesse l’ora di poter aprire il suo armadio dei trucchi e rispolverare mostri, zombi e teschi ghignanti per lanciarli in sequenze dal forte sapore gotico: e vince quando riesce a usare il multiverso in maniera emotiva. Perché se il concetto è lontano dalla fisica quantistica, ma vicino alla sospensione d’incredulità richiesta nei fumetti, Raimi ne prende le caratteristiche e non solo allarga gli orizzonti del Marvel Cinematic Universe a dismisura, ma fa assorbire il contesto in una costruzione drammaturgica che ne giustifica le scollature logiche per trovare una esatta collocazione emozionale perfettamente coerente con lo sviluppo e le necessità dei personaggi. Trovando anche il modo di inserire inside joke che mandano in visibilio i fan, con nuovi e inaspettati personaggi, ma anche con accenni ad episodi particolarmente felici della storia editoriale degli Avengers (in questo caso, gli Illuminati e le Incursioni, due concetti ideati da Jonathan Hickman nella sua feconda run sulla collana). Metaforizzando l’orologio rotto (immagine chiave del film, che infatti serve a Strange e Chavez per aprirsi la via di fuga), Nel Multiverso Della Follia punta i riflettori sui riflessi distorti degli specchi infranti: grazie al riflesso oscuro del multiverso, sia Strange che Scarlet vedono ciò che sarebbero potuti essere o diventare, assumendo una consapevolezza dolorosa che li ferisce come una scheggia impazzita, e porta entrambi all’estremo sacrificio.

In tutto questo, sicuramente Raimi avrà provato un gusto morboso nel rimettere davanti l’obiettivo mutazioni corporee, libri maledetti e onnivori, movimenti innaturali di corpi distrutti, sangue, mutilazioni, lembi di pelle: sovvertendo così la formula Marvel che in realtà viene sovvertita più spesso di quanto si pensi, in un film che racconta di streghe e stregoni, di magie e incantesimi oscuri. E che miracolosamente, pur se con qualche cedimento di ritmo sul finale, tiene perfettamente unite le sue due anime come un alchimista: quella profondamente radicale dell’autore, che non rinuncia alle sue ossessioni, e quella commerciale di blockbuster implacabili. Che in questo modo assumono la forma di matrioske con infinite possibilità dentro, infinite storie, infiniti universi. E prendendo spunto dai dreamwalking presenti nel film, per chiuderla con Shakespeare: “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”.

voto_4

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.