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ISPETTORE CALLAGHAN, IL CASO SCORPIO È TUO!

ISPETTORE CALLAGHAN, IL CASO SCORPIO È TUO!

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Sulle strade e ovunque a San Francisco.

San Francisco è una delle città americane più sfruttate dal cinema, anche grazie alla bellezza della celebre Baia: a parte le pellicole ispirate alla sua storia peculiare (si pensi al devastante terremoto del 1906, portato sullo schermo già nel 1936 in un film con Clark Gable e Spencer Tracy), il cinema e la televisione l’hanno utilizzata come sfondo in innumerevoli occasioni. Da La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock a Bullitt di Peter Yates, per non parlare di The Streets of San Francisco, serie televisiva che ha molto contribuito a lanciare Michael Douglas e alla quale devono qualcosa un po’ tutti i film in cui compaiono una coppia di sbirri affiatati ma diversissimi tra loro. Per poi continuare con l’Hulk psicanalitico di Ang Lee e il recentissimo catastrofico San Andreas, nel quale la distruzione digitale dello scenario urbano è il contraltare della riedificazione dei più ingenui valori americani, in una ricerca di purezza post 9/11 e post guerre del Golfo quasi caricaturale per come suona fuori tempo.

Quanto a Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo! (che preferiamo citare con il titolo originale Dirty Harry, e capirete!), è però chiaro che la scelta della città e dell’area della Baia dipese in buona parte dai misfatti del killer dello Zodiaco, che agiva con modalità simili a quelle di Scorpio e che come noto alla fine degli anni Sessanta perpetrò e rivendicò vari omicidi nella zona. L’immedesimazione del pubblico era evidentemente una condizione da perseguire con ogni mezzo in un film che, dichiarò Siegel, era “fatto solo per entertainment”. Si sa come andò: un successo clamoroso di pubblico e il gelido rifiuto per ragione ideologiche di buona parte dei critici, Pauline Kael e Roger Ebert in testa, i quali stigmatizzarono il ruvido Callahan in quanto presunto eroe della maggioranza silenziosa nixoniana. Il tempo ha cambiato naturalmente la percezione delle cose (sebbene il film di Siegel sia stato considerato ideale padrino dei vari giustizieri che hanno popolato gli schermi negli anni a seguire), ma di Dirty Harry ci sembra necessario rimarcare anche altri aspetti che ne fanno un film estremamente godibile sotto profili diversi da quelli sociologici che gli studiosi hanno messo in rilievo.

Nella lunga sequenza in cui Scorpio fa correre Callahan da una cabina telefonica all’altra prima di affrontarlo di persona e “corpo a corpo”, vengono toccati vari punti notevoli della città, con il killer che conduce il poliziotto di luogo in luogo e pare quasi voler mettere alla prova la sua conoscenza del territorio, in una battaglia che è prima di tutto di nervi (la ragazza rapita è probabilmente già morta, come sospetta Harry). Al di là del verosimile divertimento con cui Siegel deve avere filmato e montato un segmento in cui il canonico inseguimento al criminale viene decostruito e “invertito” per trasformarsi in uno sfibrante gioco dell’oca, la metafora non potrebbe risultare più lampante: il Male (Scorpio uccide per divertimento più che per lucro) potrebbe ormai essere nascosto ovunque e lo spazio urbano ne è gravido. Callahan si sente sfidato direttamente e reagisce di conseguenza. La posta in palio nella competizione tra i due antagonisti non è più solamente quella convenzionale tra la legge e la delinquenza, ma anche per il predominio territoriale. La celebre scena del Kezar Stadium (altro luogo iconico di San Francisco, essendo stato per molti anni la casa dei San Francisco 49ers, leggendario team di football americano) che si conclude con un’incredibile panoramica all’indietro e nella quale Harry tortura Scorpio, è allora una sorta di vendetta del gatto che si diverte col topo sempre sfuggitogli e finalmente acchiappato: un gioco sadico che Siegel evita di mostrarci se non al suo inizio.

Che Harry Callahan d’altra parte sia soprattutto uomo dello spazio urbano lo dimostrano le sequenze in cui gira per la città in compagnia del partner che i suoi superiori gli hanno affibbiato. Pronto a sporcarsi le mani in ogni situazione, Callahan più che un giustiziere è l’erede del tradizionale marshal del West (che si distingue dallo sheriff per la sua natura di uomo “sul campo”, laddove lo “sceriffo” è soprattutto un “politico”, un vero e proprio burocrate nella maggioranza dei casi: sottigliezze importanti che si perdono, manco a dirlo, nei doppiaggi italiani). Al fianco dei cittadini per ogni necessità, si tratti di una rapina da sventare o di un aspirante suicida da salvare facendosi issare sul tetto, l'(anti)eroe incarnato da Eastwood in Dirty Harry e nei suoi quattro seguiti non può tollerare l’incapacità della Legge di garantire l’ordine e l’integrità della proprietà, e men che meno il tentativo di un assassino come Scorpio di seminare il terrore da ogni posizione, a terra come sui tetti: tutta la prima parte gioca abilmente sulla dialettica alto-basso (si veda la bella sequenza dei titoli di testa) e sugli omicidi compiuti sparando dal culmine dei palazzi. Il presidio del terreno è cioè essenziale in qualche modo molto più che in Mezzogiorno di Fuoco (High Noon, 1952, di Fred Zinnemann), a cui il film è stato accostato per il gesto finale di gettare il distintivo da parte del protagonista. La particolarità della Bay Area di San Francisco rende poi più difficile e strategico il controllo: in Dirty Harry sono numerose le scene aeree in cui se ne mostra la posizione sospesa tra l’entroterra, i palazzi della skyline, l’ampio specchio della baia e l’Oceano Pacifico. Un luogo arduo da definire e delimitare prima ancora che da tenere sotto sorveglianza.

La città, tradizionale trappola per topi del noir anni Cinquanta, è cioè diventata ormai incontrollabile, magmatica, tentacolare. E forse nel gesto conclusivo di Harry c’è proprio questa consapevolezza, che il suo eroismo d’altri tempi sia del tutto senza speranze. Viene da pensare che questo film tanto discusso sia allora uno spartiacque: da un mondo (sotto forma di città, o cittadella fortificata, con i valori della giustizia e della legalità sotto attacco) delimitato e definibile a uno inconoscibile, oscuro, in cui dietro ogni (presunta) normalità si può nascondere un dramma pronto a esplodere. Cosa che simbolicamente accadrà quando, cinque anni più tardi, a sconfitta del Vietnam avvenuta, apparirà sugli schermi Taxi Driver, che alzerà ulteriormente l’asticella spazzando via ogni residua fiducia nell’integrità dell’America come terra promessa.

voto_4

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.