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Il docufilm che glorifica la Città Eterna.

Un’incredibile coincidenza: viene definita così la circostanza per cui un romano sia nato lo stesso giorno della nascita di Roma, il 21 aprile.

Una spigolatura colorata e straniante, fastidiosa al punto di far venire voglia di spulciare l’anagrafe della Città Eterna per verificare quanti romani siano nati il 21 aprile – e dimostrare quindi che Edoardo Leo non è l’unico, e che la definizione di cui sopra è solo il simbolo, la cima di una presunzione autoriale malcelata.

Power Of Rome è un docufilm uscito in sala come evento speciale il 19 aprile 2022 per poi passare quasi direttamente in streaming su Sky: ed è un curioso incrocio di metacinema e documentario che glorifica la bellezza di una città andando a impelagarsi nelle sue strade e nei suoi colori, nelle sue leggende e nella sua storia, nelle tradizioni mitiche e in quelle più prosaiche, moderne e ironiche.

Un esperimento interessante, rovinato da un atteggiamento fin troppo sgomitante del suo demiurgo Leo: attore versatile e interprete sensibile, ha scoperto anni fa una interessante vena autoriale che ha avuto una lenta ascesa (dall’acerbo ma convincente Diciotto Anni Dopo al riuscito Noi e La Giulia) e un velocissimo declino, che in soli due film (Che Vuoi Che Sia e Lasciarsi Un Giorno a Roma) lo ha portato ad inasprire i suoi difetti nascondendo i pregi.

Power Of Rome ne è la prova definitiva, o la pietra tombale: i 94 minuti dell’opera sono disseminati di belle immagini e luminose intuizioni – come l’inabissamento della statua della Madonna nel Tevere -, mentre invece continua è l’ombra lunga del regista/attore che fa anche da voce over. E che sembra non capire il limite tra controllo dell’opera e delirio di onnipotenza, in un lungo monologo che a tratti assume i contorni di un soliloquio che vuole o vorrebbe celebrare Leo rinnegando le sue origini. Perché il film esce tra le sue dichiarazioni nelle quali si mostra convinto di potere e sapere maneggiare il dramma in ugual misura alla commedia, frase smentita dai fatti e dai risultati urticanti di Lasciarsi Un Giorno A Roma: come se saper far ridere con intelligenza fosse cosa da poco.

L’onnipresenza del suo corpo attoriale anche e soprattutto nelle sequenze meno credibili (come il duello tra Romolo e Remo, oltretutto pessimamente scenografato), le sue espressioni forzatamente seriose nell’osservare la gloria di Roma (questa sì, l’unica cosa ben descritta), il tentativo maldestro di usare il metacinema, oggetto splendente ma delicatissimo: sono tutte strade che portano ad un film che non smette mai di mettere in scena la sua anima arrogante, non riuscendo mai ad amalgamare le scene dal sapore teatrale a quelle più fiction.

Il potere distrugge, protegge, cala la nebbia sul passato, ma non può cancellare ciò che siamo o saremo”: come a dire, fate quel che dico e non quel che faccio.

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Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.