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SPIDER-MAN: FAR FROM HOME

SPIDER-MAN: FAR FROM HOME

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L’ultimo film del MCU.

E dire che c’era anche chi aveva diagnosticato, per il Marvel Cinematic Universe, la durata di una cometa luminosissima ma breve, e una fine prematura. E invece ecco qua, dopo Black Panther che ha sfiorato la nomination all’Oscar, e dopo Avengers: Endgame che si contende con Avatar il titolo di film più visto della storia del cinema, Spider-Man: Far From Home che, secondo capitolo – targato Marvel Studios – dell’arrampicamuri per eccellenza, sbanca ai botteghini americani e arriva in Italia sbaragliando la concorrenza estiva. Ma ciò che più importa qui, oltre ai risultati economici, è che il film di Watts segna un altro gol assoluto per la casa editrice di fumetti più importante al mondo: Far From Home continua la fortunata saga del nuovo millennio, chiudendo realmente il cerchio iniziato undici anni fa con Iron Man e rallentando la folle corsa del precedente capitolo degli Avengers, per azzerare le trame di questa macrostoria e partire subito con un’altra (probabilmente, quella – anzi, quelle – accennata nelle due scene post-credit). In mezzo a tutto questo, intermezzi che raccontano l’adolescenza e la necessità di credere in se stessi per crescere; consequenzialmente, il bisogno di credere in qualcosa che sembra essere innato nell’uomo. È proprio su quest’iperbole che Watts, di nuovo in cabina di regia dopo l’esordio con Homecoming, centra tutto il suo film con intelligenza e sottile arguzia, perché una delle cose migliori di Far From Home è il nuovo personaggio introdotto, ovvero Quentin Beck alias Mysterio, vecchia conoscenza dei Marvel fan, character creato da Stan Lee e Steve Dikto nel loro Amazing Spider-Man 13, del 1964, splendidamente rielaborato, declinato e aggiornato ai tempi moderni. Quentin Beck è quasi un cineasta che ha deragliato: un visionario, un uomo che per vivere ha bisogno delle illusioni e che per sentirsi vivo e per avere un suo posto e ruolo nel mondo le illusioni le crea. È impossibile parlar bene del film senza parlare di una sceneggiatura brillante e raffinata, che raccontando un mondo giovane e allo sbando ma mai senza speranza, finisce per raccontare una delle più grandi agonie dei tempi moderni, ovvero l’attorcigliato e problematico rapporto tra realtà e finzione rapportato alla disperata necessità di credere in qualcosa, trovandosi quindi a dover scegliere e anzi creare i propri miti o eroi. E per tutto questo, non si poteva avere un avatar migliore del brillante Mysterio di Jake Gyllenhaaal: sorvolando, per evitare il fastidio spoiler, sul suo ruolo prettamente narrativo, si applaude alla sua caratterizzazione, a come catalizza il senso di un film e di un’epoca, a come viene calato perfettamente e senza nessuno sforzo all’interno del coerente universo narrativo di Kevin Feige. Un personaggio con una storia sublime e attuale, che si diverte a sovvertire l’ordine costituito manipolando i sentimenti delle persone e manipolando il pubblico e la sua realtà, inserendosi nel dibattito stringentissimo sulle fake news e soprattutto assumendo i contorni di quel villain per cui è quasi impossibile non tifare. Perché al di là del combattimento con Spider-Man (e a proposito, scene action da applausi), Mysterio attira e attiva l’empatia perché sembra muovere battaglia a quell’ambiente culturalmente corrotto all’interno del quale oggi si muovono tutti i molteplici canali di informazione: ecco allora che Spider-Man: Far From Home fa l’ennesimo centro, ovvero mostra quanto sia ancora coraggiosamente, dolorosamente, attuale la geniale intuizione di Stan Lee sui supereroi con superproblemi: anche i cattivi sono umani e problematici, e non c’è utilizzo migliore delle proprie facoltà (specie quelle intellettive) che quello per cambiare una realtà in cui non crediamo e che non crediamo moralmente giusta.

Il ventitreesimo film del MCU è un affascinante gioco di specchi nel quale vero e falso si inseguono e si specchiano l’uno nell’altro, trasformando buoni e cattivi (fino all’ultimissimo fotogramma…) e speculando argutamente e brillantemente su quanto sia facile cadere dalla parte sbagliata del confine, mentre la menzogna si trasforma in verità.

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Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.